GIÀ VIVE “NELLE COSE”, E LA «COMPETENZA» NON È UN’OBIEZIONE
Sul «Corriere della sera» di qualche giorno fa Stefano Montefiori riportava di una recente intervista effettuata dall’«Economist»allo storico belga David Van Reybrouck. Secondo Van Reybrouck sarebbe un errore lo vedrebbe come una sorta di pigrizia ridurre tutto al voto.
Invece, afferma lo storico, precisamente i rappresentanti andrebbero scelti in altro modo.
E Van Reybrouck sostiene di seguire con interesse alcuni esperimenti di estrazione a sorte, condotti negli anni un po’ dovunque nel mondo, dalla provincia canadese della British Columbia all’Islanda, al Texas e, piú recentemente, all’Irlanda, dove si sarebbe appena conclusa la Convenzione costituzionale che ha visto collaborare 66 attivisti tirati a sorte con 33 eletti. Questa assemblea inedita sarebbe riuscita ad avviare senza scossoni la riforma di 8 articoli della Costituzione, affrontando anche la questione del matrimonio omosex, che in Francia ha provocato forti tensioni.
Sarebbe importante – continua lo storico nell’intervista – accettare almeno il principio di tale procedura anche in altri paesi, e poi introdurlo gradualmente nelle assemblee locali, affiancandolo agli strumenti classici della democrazia elettiva.
Interrogato in merito alla competenza che avrebbero «rappresentanti» scelti con questo “sistema”, Reybrouck avrebbe chiesto, a sua volta, tanto polemicamente, quanto giustamente:
e perché? Quale competenza ha oggi la maggior parte dei deputati nei nostri parlamenti? I migliori di loro usano la legittimità offerta dallo status quo di eletti per chiedere informazioni e consigli agli esperti, e infine decidere a ragion veduta; niente che non potrebbero fare persone tirate a sorte. Con il vantaggio fondamentale che i cittadini tirati a sorte sarebbero forse piú inclini a dare priorità al bene comune e non alla propria rielezione.
E, del resto, Reybrouck non è il solo a pensarla cosí, tant’è che cita Habermas, l’americano James Fishkin e i francesi Bernard Manin e Yves Sintomer. Secondo quanto riporta il giornalista Montefiori, lo storico belga cosí conclude:
è il momento di pensare a una democrazia deliberativa [sottolineatura nostra, n.d.r.] e non solo elettiva. Quando John Stuart Mill proponeva il voto alle donne, a metà Ottocento, lo prendevano per pazzo. Le novità non ci devono spaventare!
Intanto, «serbi, croati e bosniaci manifestano insieme a Tuzla», ha annunciato su «Le monde diplomatique» il giornalista Jean-Arnault Dérens. Per che cosa? Le manifestazioni, di protesta contro le privatizzazioni selvagge, deleterie per le condizioni economico-sociali della Bosnia (40% di disoccupati), e di denuncia dei saccheggi delle risorse pubbliche, si sono subito indirizzate contro l’oligarchia dominante, corrotta e apparentemente inamovibile. La “miccia” è stata accesa da
seicento disoccupati, cui si sarebbero presto aggiunti gli impiegati delle imprese privatizzate nell’ultimo decennio e messe in liquidazione, nonché semplici cittadini, tra i quali molti giovani.
L’articolo informa che da Tuzla – roccaforte del Partito socialdemocratico (Sdp) le proteste si sarebbero diffuse rapidamente in molte città grandi e piccole della Bosnia-Erzegovina,
paese teoricamente diviso in due entità, la Federazione di Bosnia-Erzegovina (croato-bosniaca) e la repubblica serba di Bosnia. […] Il 7 febbraio, sono stati dati alle fiamme gli edifici delle amministrazioni cantonali di Tuzla e Zenica, e lo stesso è successo alla sede della presidenza di Stato di Sarajevo. A Tuzla, rimasta l’epicentro della contestazione, le autorità cantonali si sono dimesse già il 7 febbraio. Da allora la città sperimenta una sorta di democrazia diretta [sottolineatura nostra, n.d.r.] con un plenum di cittadini, aperto a tutti, che si riunisce ogni sera. Riconosciuto come legittimo interlocutore dalle autorità, questo plenum delibera sulla revisione delle privatizzazioni e sulla formazione di un governo provvisorio. Altri plenum si vanno costituendo a Zenica – dove le autorità cantonali hanno dato anch’esse le dimissioni – e a Sarajevo. La rivolta è seguita con attenzione nei paesi vicini dove si sono svolte manifestazioni di solidarietà, specialmente in Serbia, Croazia e Montenegro.Ovunque la transizione economica e la conseguente sfilza di privatizzazioni, hanno prodotto gli stessi risultati […].
Utilizzando un noto e abusato slogan pubblicitario potremmo concludere: «immagina: puoi!». Se solo l’immaginazione non solo si determinasse, ma si accompagnasse a una comprensione effettiva e ragionata, quindi a un progetto, e dunque a un impegno politico coerente e rigoroso.
Ne avranno le capacità e, soprattutto, la voglia di comprenderlo e di mettersi finalmente e coerentemente in gioco, prima o poi, i cittadini italiani? O almeno coloro che vogliono davvero essere cittadini, e che intendono davvero cambiare «lo stato di cose presente».
CB