Nea Polis

Parole “sfruttate” per confondere ed occultare: «globalizzazione», «Europa»

Stamani, spippolando in tv prima di uscire di casa, ho sentito una giornalaia-tivuaia (La7, però compare anche in altri canali) emettere questa sentenza, come solare evidenza: «la globalizzazione è la realtà, non si può essere contro la globalizzazione». Non “ce l’ho” in particolare con questa signora (ne ho già sentito sentenze simili, e sciocchezze varie profuse qua e là), poiché questa affermazione non è sua prerogativa, ma è molto ripetuta, in maniera affine, da parte degli oppositori (politici, dirigenti di questo o di quell’ente, addetti a stampa e tv, opinionisti, parecchi economisti, “esperti” nel non capire nulla) che attaccano M5S e Lega, governo giallo-verde. E si connette al “sí all’Europa” (con il credo tanto pe dire: “da modificare in meglio …”), poiché è «l’unico argine di sicurezza nella globalizzazione», che è, appunto, una realtà di fatto, indiscutibile, etc.

È da fare molta attenzione all’uso delle parole. Il termine «globalizzazione»: rimanda all’evidenza per cui l’umanità esiste e vive sul pianeta che chiama Terra, che è una sfera, cioè un globo, e i comparti di questo “insieme” dei vari “gruppi” di esseri umani sono interrelati fra loro (e tale interrelazione, già iniziata e avanzata nel Mondo antico, ripresa nel Basso Medioevo, si è sviluppata su scala globale a partire dalle «scoperte geografiche» e formazione degli imperi coloniali). Questo il dato di fatto, storico, politico, economico, sociale, culturale. E rimanda all’immagine, diffusa e consolidata sia dal trovare prodotti che vengono da altre parti del mondo, sia dall’impattare con esseri umani che provengono da altri paesi, aree, continenti. Ma il dato di fatto è usato coprire e nello stesso tempo mascherare il vero significato presente del termine «globalizzazione» (in francese è mondialisation), che è tutt’altro: è la fase del modo di produzione (produzione da intendere in tutti i sensi: economico, politico, sociale, culturale), vigente adesso su scala planetaria (però iniziato «in senso proprio» storicamente da non molto: fine Settecento-primi Ottocento), che si denomina «capitalismo». È quella fase avviata dalla seconda metà degli anni settanta-primi anni ottanta del Novecento (quindi storicamente da ancora molto meno tempo), basata sul liberalismo economico senza ostacoli e freni (movimento dovunque di capitali, merci, uomini; investimenti e disinvestimenti su tutto; delocalizzazione e desertificazione; assunzione al livello primario della forma piú astratta di capitale, quello finanziario, e la speculazione che vi è organica), con il supporto degli Stati (Stati fondati sul liberalismo, con nella loro funzione necessaria al funzionamento, nonché all’esistenza stessa del capitalismo) e degli «organismi internazionali» preposti, fra cui la (cosiddetta) «Unione europea».

Perciò, sentenziare che «la globalizzazione è la realtà …» equivale a sentenziare che la fase del capitalismo durata finora è eterna, e opporsi alle tendenze in pieno atto (in tutto l’Occidente, compresa adesso in prima linea l’Italia) al superamento di questa fase della «globalizzazione» (perché sempre piú disastrosa per interi popoli e paesi, fino a essere ingestibile), verso un nuovo assetto (che è da definire, perché è “in farsi”). Dunque, chi sostiene che «la globalizzazione è «la realtà», «non si può essere contro», è precisamente un reazionario, che vuole restaurare appieno tale fase devastante, contro il suo superamento. E “sfrutta” (consapevolmente o meno, è secondario) la doppia valenza del termine «globalizzazione» per distorcere la realtà e sostenere la reazione.

Lo stesso va detto per «l’Europa» e i rapporti con l’Italia: “l’Europa ci chiede”, “l’Europa è necessaria”, “stiamo in Europa”, “accordiamoci con l’Europa”, “non stacchiamoci dall’Europa”, etc. Di nuovo, è ovvio che l’Italia è situata in Europa, come collocazione geografica e storica. Ma l’Ue (la cosiddetta «Unione europea») non è l’Europa: è un «organismo internazionale» sorto e strutturato (dal 1990-1991) come funzione della fase della «globalizzazione». Anche qui si “sfrutta” (consapevolmente o meno, è secondario) l’immagine vaga (per viaggi, conoscenze, media) di «Europa» come un’“entità in sé”, per negare e sostenere ciò che è l’Ue.

Ripeto: è da fare molta attenzione all’uso delle parole. Su quanto già preconizzato da Orwell nel suo 1984, le parole, con le immagini che evocano, vengono usate per confondere e occultare.

MM

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