«Democrazia elettivo–rapresentativa», alias “sistema” «liberal–democratico»
Quella che impera, anche nelle fila dei critici e oppositori, è una visione neo–magica (come già rilevato da J.-Cl. Michéa): per alcuni giorni, stabiliti – circa 2 per il voto e 2 per gli esiti –, si leva il “vento della democrazia”, promana dai teleschermi, permea gli abitanti, trasuda in seggi e cabine elettorali. “si vota! al voto!”, il che significa porre una croce sul simbolo di questa, quella, quell’altra «lista elettorale» (di qualche partito o coalizione, o “lista civetta” per raccogliere-convogliare consensi) e/o ai suoi “designati”. Ecco la “democrazia”: l’assenso a che siano tali «rappresentanti» a decidere. Poi, fatti i calcoli e dati i “posti”, il “vento” cade, per un tot di anni.
Gli esiti di tale “impianto”, anche limitandosi solo agli ultimi anni, li ha visti (o dovrebbe…) chiunque: programmi elettorali di fiere denunce e valorose promesse, rimasti…parole per «far babbeo» il popolo, bandierine di un colore o dell’opposto per chiacchiere in tv; invece, stessa linea, stesse decisioni, stesse misure (con “variazioni” secondarie, ribadenti la monotonia dei temi centrali) – con “messa in non cale” dei diritti e garanzie costituzionali, distruzione delle modeste tutele sociali conquistate in decenni di lotte, la stessa Costituzione «liberal-democratica» in pezzi, alcuni dei quali, “scissi” dal resto, usati di copertura alla bisogna, altrimenti omessi
È il “sistema” vigente nel mondo, escluse le dittature dichiarate, ma adottato dove “ci si liberalizza”: è detto «democrazia rappresentativa» (varie le forme di «rappresentanza»), cioè è il “sistema” «liberal-democratico» – ma «democratico» è aggettivo di «liberale»: è il “sistema liberale” con suffragio via via divenuto «universale» (a tutti gli aventi diritto). Circoscriviamoci, qui, al nostro, in Italia. Ed inutile dire quanto “si sa”: le mega-capacità dei media di condizionare la “gente”, il gravame delle cordate e catene di “interessi” e “interessati”, con “liste di attesa” di altri “interessati”, la vischiosità delle attitudini pro o contro qualche bandierina o “qualcuno”, o per il (creduto) “meno peggio” (che comunque fa parte del “peggio”), e cosí via – è la spoliticizzazione di massa, indotta e “coltivata”, altra faccia della professionalizzazione politica, soggetta agli imperativi dominanti.
Gli imperativi sono dell’anglosfera davosiana (= quelle oligarchie globaliste che si ritrovano a Davos+Usa/UK+Stati subalterni di Nato/Ue+satelliti altrove), “coscienziosamente” assunti e applicati. Cosí lo Stato italiano, sconfitto nella II° Guerra mondiale e subordinato agli Usa (e UK), ingabbiato in Nato/Ue-€, ha visto evaporare i pochi spazi di manovra autonoma precedenti (durante la «Guerra fredda»), per sboccare (avanzando dal ’90 del secolo scorso, accelerando dall’inizio 2020, fino a concludersi) in un regime neo-totalitario – senza carrarmati e manganelli, ma con uso della forza nei momenti opportuni, basato sullo scatenamento dei media, sull’alienazione televisiva e digitale, sull’«insegnamento dell’ignoranza» nell’istruzione, sull’imposizione delle volontà degli apparati statali e para-statali, e delle oligarchie interne “consustanziale” a quelle estere. E il regime si serve ad hoc della «democrazia elettivo-rapresentativa»: consenso alla decisionalità da parte di pupazzi-“impiegati” (dal livello centrale a quello regionale e locale), che gestiscono il regime in base ai diktat “altrui”. Certo, insieme alla cecità della spoliticizazione cresce anche non-voto, ma ci si fa bastare una percentuale di votanti, per tale “democrazia” – che, nel contesto, è perfino derisoria.
Il contesto
Il “sistema” «liberal-democratico» occulta il carattere dello Stato (che diventa una «zona cieca», per cui non se ne dice niente, o ingenuità tipo “lo Stato siamo noi”, o “lo Stato funziona male”, o “dipende da chi comanda”, e cosí via). Va ricordato, in estrema sintesi, che lo Stato, anche a “sistema” «liberal-democratico» (ancor meglio di aperte dittature) è precisamente l’altro “asse” del sistema economico-capitalistico vigente (che non potrebbe esistere e funzionare senza lo Stato): c’è fra di essi una fusione senza confusione (di ruolo e funzioni), e sui loro rispettivi imperativi ed esigenze viene “messa in forma” la tecnologia, nonché la scienza in generale (come sostanza e tipologia di ricerche, modalità di applicazioni, nonché come finalità, e quindi come uso, etc.).
E vi sono Stati dominanti (gli Usa, ma vi si associa l’UK), Stati controllati, Stati subalterni e satelliti. Né tali Stati con il loro “sistema” «liberal-democratico» hanno dato gran prova di sé: dalla fine della II° Guerra mondiale a tutt’oggi vi sono state, e sono in corso, piú di 200 guerre nel mondo – con un livello di distruzione e di morti e feriti mai esistito, prima, nella storia mondiale. Eh sí, la storia, se esaminata con le categorie adeguate, è una grande maestra – ma non ha allievi. E adesso lo scontro globale si accentua. La massa del capitale accumulato nelle mani di un’infinitesima parte dell’umanità si è unito alla politica (imperiale) di predominio mondiale degli Stati dominanti, con i loro subordinati e satelliti: ma il capitale globale è globalmente in crisi, data l’accumulazione attuata – tramite il liberalismo economico scatenato (quello detto liberismo o neoliberismo), fatto attuare dalla statualità e supportato dalla tecnologia –, per cui la massa globale è tale da non potersi investire a un tasso di profitto adeguato rispetto alla massa stessa, donde l’esigenza della sussunzione (manipolazione, controllo, comando) dei popoli nella riduzione della popolazione, e della distruzione di una parte consona del capitale stesso – e la guerra è ottima a tale scopi. È qui il fine del governo unico mondiale (v. «Agenda 30») unito all’imperio dell’anglosfera.
E ciò ha condotto allo scontro con gli Stati che avrebbero dovuto essere dominati e smembrati, e non lo vogliono – Russia in primis, che dimostra nei fatti (militari ed economici) di non poter essere schiacciata (paese anch’esso capitalistico, ma che non si basa sul primato della finanza, bensí su quello della produzione), e c’è il seguito di Cina e Brics, Stati e realtà a loro volta “opinabili”, ma che supportano la Russia nel portare avanti un altro assetto mondiale: contro il monocentrismo, per il multipolarismo.
In tale contesto, gli Stati controllati dell’anglosfera davosiana e subalterni a essa vengono schiacciati e “cannibalizzati”. E l’Italia? Il nostro paese sta scivolando su un asse inclinato verso un pozzo oscuro. E questa è la funzione che sta assolvendo il subalterno regime italico – e la pantomima delle bandierine delle diverse congreghe partitico-politiche, dal centro nazionale alle articolazioni regionali, e da queste alle entità locali, servono per subornare…ma nemmeno i tori, bensí le pecore.
Per “altro” e “oltre”: la democrazia
In tale “quadro” ci si sente schiacciati, impotenti, non si vede un’efficacia adeguata, ma non si scorge bene altro, e quindi si continua sulle “vecchie vie” di denuncia, protesta, opposizione, resistenza, iniziativa politica – e non si tiene, però, conto di quanto già disse A. Einstein: “ripetere gli stessi procedimenti e aspettarsi risultati diversi è follia”. In che modo poter procedere “altrimenti”?
Obiettivo: togliere la decisionalità alle oligarchie globaliste, con i loro apparati e organismi, e agli Stati con esse “in fusione senza confusione”, e alle conseguenti modalità di applicazione della tecnologia (e di “messa in forma” della scienza). Obiettivo enorme, certamente, ma ineludibile – e proprio usando il dissesto che lo scontro del multipolarismo – e azione della Russia in primis – contro il monocentrismo – dell’anglosfera davosiana – sta provocando. E tale dissesto sta già portando, e sempre piú porterà, a profonde “scosse” precisamente nei paesi subalterni – come la nostra Italia. E allora? Procedere come si può, pur dal piccolo, diciamo anche «a passi di colomba». E come?
Puntando al “nodo” centrale, fondamentale e fondante: rivendicare – e attuare dovunque si può e negli “spazi” possibili – la decisionalità rimessa al démos, al popolo – intendendo come tale la gran massa di chi lavora, ha lavorato, è in cerca di lavoro, intanto studia, svolge un’attività che è finalizzata a vivere, e non intende opprimere e soggiogare gli altri: insomma, la grande maggioranza (almeno potenziale, per il resto si tratta del livello di comprensione) della popolazione, ossia delle classi, e strati, e ceti, ora subalterni e sempre piú subalternizzati e schiacciati.
Dunque, riappropriazione del krátos, del potere – il potere di decidere, togliendolo alla tripla «P» presente: Profitto finanziario, Potere statuale colluso, Primato della tecnologia scatenata.
Démos+krátos: è la demokratía. Idea (e attuazione, pur parziale, pur poi occultata), che si è riproposta in tante occasione storiche, e tanto antica da essere del tutto nuova. È la sussunzione dell’economico, dello statuale, del tecnologico, alla società organizzata come popolo sovrano – il che è riconosciuto del tutto formalmente in quella che fu la Costituzione italiana, ma del tutto bloccato fin dall’inizio – il popolo esercita la sua sovranità “nelle forme e nei limiti…”, cioè è a «sovranità limitata»? E subordinata… E invece no! Prótos ’o démos: viene prima il popolo, conta di piú, e decide quanto vuole.
Lo si può attuare? Si può incominciare a farlo – e far estendere, dovunque possibile, idea e pratica in base all’esempio. Donde la proposta di attuare, partendo dalle elezioni comunali, quella che si è denominata Assemblea cittadina permanente – per ora una “via di mezzo” fra ekklesía (assemblea decisionale di tutto il popolo sulle questioni decisive) eboulé (governo sorteggiato per un anno, con membri revocabili e sostituibili se non seguono le decisioni popolari).
Tale Assemblea, una volta convocata (l’iniziativa va pur presa da parte di “qualcuno”) e compresa l’esigenza di autoistituirsi come permanente e decisionale, sceglie (se arrivare subito al sorteggio o meno è da “vedere”: può occorrere una fase di transizione) i propri delegati (impegnandoli a dimettersi ed essere sostituiti se non concordano con le decisioni dell’Assemblea stessa), si riunisce in maniera stabile e periodicamente stabilita, opera articolandosi in pritaníe (gruppi di lavoro) sulle varie “questioni” (in ciò può usare degli “esperti”, ma non comandano gli “esperti” stessi: danno il loro apporto, per il resto comanda l’Assemblea, in base alle sue istanze primariamente espresse e in base, poi, a quanto viene riferito). Nel caso di successo elettorale – si sa che è difficile a una prima partenza, ma va previsto –, è l’Assemblea, con i suoi delegati e il suo preposto alla carica di sindaco, che “sterilizza” l’organo (di regime) comunale (ovviamente affrontando contrasti, contraddizioni, limiti, che si presenteranno, ma sicuramente realizzando e mettendo fattivamente in opera in vari “campi”). Nel caso di insuccesso – come entità di consensi, il che è piú probabile, a una prima partenza –, l’Assemblea resta permanente e opera come fulcro e aggregazione e progressivo potenziamento dell’opposizione all’organo (di regime) comunale.
Da specificare: va da sé che non si può negare la presenza di membri di partiti e partitini (maggiori, minori, minimi), o di “gruppi” che si intendono in maniera uguale (pur non dichiarandosi tali), ma non si accetterà il predominio partitico e/o gruppistico (se si presentasse, lo si dovrebbe esplicitamente allontanare) – mentre è del tutto lecito, e senz’altro utile, l’apporto di “centri”, associazioni culturale, ricercatori, e cosí via (il che vale nel piccolo della prima partenza, come in generale nell’auspicabile espansione – [non si affronta, qui e ora, la “questione del partito”, che resta un problema irrisolto del movimento dei lavoratori e classi subalterne]).
Concludendo, questa è la via, estremamente ardua, ma necessaria e di estremi orizzonti, da almeno provare a imboccare – tutto il resto, magari sentito e preso “di ripiego”, sarà subalterno e affogherà le residue istanze, che rimangono , magari anche sentite e non espresse, di oltrepassamento, di liberazione.
Firenze, 28 marzo 2024
MM