Nea Polis

SULLA VITTORIA DI TRUMP ED IN MEMORIA DI VERONESI

Stamattina, appreso della vittoria di Trump nelle elezioni “amerikane”, ho un po’ esultato per la sconfitta dei grandi e piccoli media italo-“amerikani”, dei vari “artisti” e “intellettuali” tutti schierati – come Madonna, che aveva promesso sesso orale a chiunque avesse votato per la Clinton (non è chiaro se la promessa fosse solo per i maschietti: forse no), o come quel rimbambito ex-grandissimo attore di De Niro (spacciatore di quadri di quell’imbrattatele di suo padre), dei giornalisti, “esperti”, etc., e apparentemente di tutto l’apparato di gestione del potere. Tuttavia, il futuro vicepresidente, Mike Pence, è quello della boccettina dell’antrace, e molto altro.(http://www.luogocomune.net/LC/index.php/16-geopolitica/4527-tra-hillary-e-trump-vincera-mike-pence). Be’, insomma, staremo a vedere.

Passo poi a dire «In memoria di Veronesi»: riporto un fatto poco noto, utilizzando stralci dell’articolo di «Repubblica» -miei commenti in corsivo fra parentesi quadre [] e parole e frasi in neretto:

«Veronesi era un chirurgo, e l’oncologia italiana nasce con lo sguardo limpido di chi è abituato a vedere ed estirpare [immagine poetica che non gli rende giustizia, camuffandolo un po’ da Robin Hood, un po’ da Zorro e un po’ da Maciste (“nessuna mercede!”); in realtà Veronesi si occupava di chirurgia estetica, per chi allora se la poteva permettere, e lo faceva, piú che estirpando, modificando nasi, seni (soprattutto seni, ossessionato dai seni, era un segno del destino) e accessori]. È l’unica branca della nostra medicina che nasce “all’americana” grazie a lui (e a Pietro Bucalossi e Gianni Bonadonna). Nasce e cresce attorno all’Istituto dei tumori di Milano, il vero tempio [ancora un’immagine, misticamente potente] da cui poi sono partiti i suoi allievi per diffondere il metodo [o il verbo?] in tutta Italia. Nasce col grande salto delle sperimentazioni degli anni settanta del secolo scorso. A chi si chiede oggi perché mai gli americani vennero qui a sperimentare la cosiddetta terapia adiuvante per il carcinoma della mammella (la procedura di dare farmaci dopo l’intervento che ha salvato milioni di donne nel mondo [!!!???]), portando i loro dollari a Milano [e i loro farmaci, ovviamente: o come mai vennero proprio qui? Non si capisce? Servi immutabili dal dopoguerra a oggi!], gli storici danno una sola risposta plausibile: perché negli Usa i chirurghi non volevano farlo, non volevano condividere le pazienti coi chemioterapisti e tantomeno trattarle con quei farmaci cosí pesanti. In Italia, a Milano, gli americani trovarono un oncologo che lavorava come loro (Gianni Bonadonna) [Infatti. In estrema sintesi: Bonadonna, dopo la laurea, si specializza tre anni negli States, e fa da apripista alla grande invasione chemioterapica. Brevissimo cenno sulla chemioterapia: il piú imponente studio, pubblicato nel dicembre 2004 su «Clinical Oncology» (14 anni, 227.000 pazienti, 22 tipi di tumore piú diffusi), sulla sopravvivenza a 5 anni dopo trattamento chemioterapico, riporta un misero 2,3% in Australia e un 2,1% negli Usa] e un grande chirurgo che capí per primo al mondo che il cancro si combatte in équipe [ossia, cinicamente: stava nascendo un business di immense proporzioni] e si vince con la ricerca. [Bella chiosa finale, mediocrità imperatrix mundi (in latino mediocritas non ha lo stesso valore dispregiativo). Diceva Peppino a Totò: “E ho detto tutto!”]».

SP

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