Nea Polis

TAGLI DI SPESA E VIA L’IMU – E SVENDITA DEL PAESE

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Matteo Renzi propone un taglio della «spesa pubblica» di 10 miliardi. È arduo credere che ci riesca e vien da chiedersi quale, eventualmente, sarebbe il prezzo nelle ricadute a livello sociale: pare che quella somma sia a mala pena necessaria per scongiurare l’aumento dell’Iva e delle accise. Il Nostro si propone, invece, di abolire l’Imu sulla prima casa per tutti, indifferentemente dalle dimensioni delle abitazioni: si tratti di 50 m2 quadrati o di 200 o piú (quella di un noto cardinale ammonterebbe, per es., a circa 700), niente piú Imu. A parte l’evidente sfregio a ogni elementare principio di equità fiscale -principio desueto e da rottamare secondo il Nostro -, qualche perplessità rimane, pur un po’ appannata dalla (magra) consolazione che si tratti della solita “annuncite” – e allora anche un modestissimo bugigattolo continuerà a pagare.

È la somma che fa il totale – come diceva Totò – e nel caso pare davvero che i conti non tornino. La pratica della finanza allegra è ormai un contrassegno della politica italiana (e non solo), però si ha l’impressione di essere all’avanguardia su tale percorso. Perché questo provvedimento – che eufemisticamente può essere definito di captatio benevolentiae – verrebbe finanziato, va da sé, in deficit: ma in che modo si finanzia il deficit?

Tempo fa sul sito www.nea-polis.org si è richiamata l’attenzione sulle perdite dello Stato italiano in riferimento ai «derivati». Oggi merita di rinfrescare la memoria di chi legge ed è di un certo interesse un articolo dello scorso maggio, su cui mi è caduto l’occhio: nulla di nuovo sotto il sole, ma sarebbe bene tener conto dell’entità delle improbabili conseguenze – secondo il vecchio adagio: in cauda venenum. Sotto la voce «Nuova finanza pubblica» (che nuova non è) e il titolo Allarme, son derivati, scriveva Marco Bertorello («il manifesto»,07.05.2015):

Le perdite dello Stato italiano sui «derivati» richiamano la sensazione di fregatura che si prova al momento di essere risarciti da un’assicurazione per un incidente stradale o domestico […, quando]. si scopre che i dettagli fanno la differenza. […] Il caso delle perdite dello Stato italiano negli investimenti in «derivati» durante la crisi del «debito sovrano» è stato sollevato dall’economista Luigi Zingales agli inizi di marzo sul «Sole 24 ore»: egli accusava lo Stato perlomeno di poca trasparenza, mostrando una danza di numeri sulle perdite (differenze di miliardi tra le dichiarazioni della responsabile del debito del Ministero e il relativo sito) e concludendo con il preoccupato dubbio se «con l’uso di derivati il Tesoro sta veramente riducendo il rischio dei contribuenti italiani o sta solo arricchendo le banche d’investimento, tanto generose nell’assumere ex funzionari del Tesoro?». Non a caso, sempre in quei giorni, alcune procure indagavano su un «contratto derivato» sottoscritto dallo Stato italiano e la «Morgan Stanley» nel 1994, in cui esisteva un diritto di recesso unilaterale esercitato dalla banca d’affari americana proprio in coincidenza di un declassamento dei titoli italiani a opera di agenzie di rating, di cui «Morgan Stanley» era azionista. Il costo di tale dubbia operazione era risultato di 2,5 miliardi tra la fine del 2011 e il 2012. In quel periodo il vicepresidente della «Morgan Stanley» era l’ex ministro del Tesoro di Berlusconi, Domenico Siniscalco. Ora Zingales, che non è certo un economista eretico, non si stupisce che l’Italia ricorra ai «derivati» per tutelarsi dai rischi del proprio «debito sovrano», e neppure […] delle perdite contabili, poiché i «derivati» sul debito danno guadagni quando i tassi d’interesse salgono e perdite quando scendono, come è il caso odierno. Ciò che lo stupisce sono i diritti unilaterali per una risoluzione del contratto anticipata, diritti che […] vengono esercitati nei periodi piú critici per le banche, cioè quando hanno una eccessiva esposizione su titoli ritenuti a rischio. Come accadde per l’appunto nel  biennio 2011-2012. Inoltre l’agenzia «Bloomberg» ha evidenziato che i «derivati» che fanno capo all’Italia servono anche a cautelarsi da rischi come l’oscillazione delle valute o dei tassi d’interesse e che complessivamente ammontano a un valore nominale pari a 159 miliardi e attualmente hanno un valore di mercato negativo per lo Stato pari a 46,2 miliardi. Perdite per il momento solo teoriche, ma che potrebbero diventare concrete, qualora si chiudessero anticipatamente i contratti, come nel caso di «Morgan». Il problema è che non è dato sapere in quanti di quei contratti è presente il diritto di chiusura anticipata unilaterale. Quel che è certo è che, attraverso tale diritto unilaterale oppure a causa di una ristrutturazione di vecchi contratti, si sono già prodotte perdite reali per le casse dello Stato per 16,95 miliardi. Tali perdite per l’Italia sono superiori a quelle di tutti gli altri paesi dell’Unione europea messi insieme [corsivo mio]. Come è potuto accadere ? Sembrerebbe che [… nella] crisi dei «debiti sovrani» l’Italia abbia effettuato uno scambio con le istituzioni bancarie internazionali, per cui alla garanzia da parte di queste la prosecuzione dell’acquisto di titoli pubblici […] è stata corrisposta la rinegoziazione di alcuni «derivati». Ci si è garantiti dai rischi immediati di fallimento al prezzo [… del] rischio di perdite future [corsivo mio]. Nulla è avvenuto gratuitamente e […] dobbiamo ancora una volta registrare […] che siamo nelle mani delle grandi banche.

E, va aggiunto, di lestofanti avventuristi e spericolati, che svendono il paese e la sua popolazione.

CB

 

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