Renzi ha annunciato la nuova denominazione del partito da lui presieduto: «Partito della nazione», ossia Partito nazionale. Nomina sunt omina – «i nomi sono presagi» – recita un noto adagio. E, se è vero che i nomi lo sono, si evoca il fantasma di una gestione autoritaria. Manca solo un «f…… », ed ecco resuscitato il nome del partito che ha connotato il ventennio: Partito nazionale fascista. A parte le scontate differenze della situazione attuale rispetto a quella fase, i presupposti di una deriva come minimo dirigista, quando non apertamente autoritaria, ci sono tutti. Bastano alcuni accenni.
– La denominazione: un partito nazionale è, va da sé, partito “di tutti”. E Renzi non distingue tra lavoratori dipendenti e imprenditori, perché – a suo dire (e, appunto, come nel ventennio) – sono tutti lavoratori: tutti nella stessa barca, e poco importa se c’è chi suda remando e chi suda ad abbronzarsi al sole; tutt’e due i gruppi sudano, e se i motivi sono diversi è del tutto trascurabile.
– L’improprietà linguistica (banale) di definire «partito» – voce che deriva da «parte» –, come connotativa unitaria (cosí, appunto, nel ventennio), «parti» che, invece, per loro stessa natura, sono caratterizzate da interessi opposti, talora conflittuali. In nome di tale deformazione semantica è stato dato un giorno di ferie agli operai per la presenza di Renzi all’Assemblea generale dell’Aib (Associazione industriale bresciana), tenuta, su richiesta dello stesso Renzi, in una fabbrica, la «Palazzoni». «Per necessità logistiche e di sicurezza», data la sua presenza, è stata sospesa la produzione, ha spiegato Luigi Moretti, a.d. della fabbrica ospitante – ma non è una magnanima concessione della controparte: è un giorno forzato di ferie collettive, a carico dei lavoratori.
– La scelta di incassare in busta paga una quota del Tfr (la pensione) – altra magnanima concessione che dovrebbe agevolare la ripresa, assieme ai fin troppo decantati, ed elargiti solo ad alcuni, € 80 ( e già la banca d’Italia e l’Istat hanno affermato che non serviranno a far ripartire i consumi, perché verranno assorbiti dalle spese correnti – e se lo dicono loro!)–, scelta che comporterà una duplice conseguenza per le tasche degli interessati: la somma detratta in anticipo dalla pensione sarà tassata in conformità con il reddito attuale e non come Tfr, cioè molto di piú del carico fiscale sul Tfr al momento della pensione; la somma sarà anche computata ai fini dell’Isee, cioè delle agevolazioni per i meno abbienti (costi di bollette, asili nido e quant’altro), cosí non piú riconosciute a seguito dell’aumento delle entrate. Qualcuno ha detto che si tratta di una «partita di giro», i cui costi sono pagati dagli stessi che di tali misure dovrebbero – secondo la vulgata– godere. In realtà si tratta anche di questo, ma non solo: perché vengono sottratti, con un furbo escamotage, benefici che sono adesso riconosciuti alle fasce piú disagiate della popolazione. A ogni modo, per quanto riguarda il Tfr in busta paga, sempre la Banca d’Italia ha affermato che tale possibilità dovrà valere solo per un triennio, al fine di evitare che i futuri pensionati si ritrovino senza mezzi di sussistenza – alla faccia dell’ottimismo trionfalistico di Renzi!
– La vicenda del Monte dei paschi di Siena – la banca piú antica del mondo moderno. La gloriosa istituzione è finita in bancarotta, dunque va salvata. Verrà nazionalizzata? Ma quale mente bacata può partorire tale malsana fantasia! In attesa ulteriori informazioni, pare stiano avanzando vari acquirenti – soprattutto stranieri –, previo intervento finanziario dello Stato italiano, e il salvataggio comporta stanziamenti ingenti, pagati dalla fiscalità generale. Pare, nel frattempo, che il Monte dei Paschi potrebbe diventare cinese: vi sarebbe una proposta di investimento per circa € 15 miliardi – chissà se ai contribuenti italiani verrà risparmiato il contributo previsto per il salvataggio? Comunque, intanto i caporioni del malaffare sono stati condannati a tre anni e qualche mese: poca cosa in rapporto ai danni delle loro malversazioni. Scontata la pena (forse …), questi signori potranno raggiungere i loro capitali, trafugati in sicuri paradisi fiscali, e goderseli in un meritato, e dorato, auto-esilio. E noi, miseri mortali, saremmo sicuramente gravati di ulteriori gabelle: come sempre «paga Pantalone». Infatti, per il 2016 sono previsti aumenti dell’Iva e dei carburanti per consentire il rispetto del «Patto di stabilità» dell’Ue, i cui parametri si prevede verranno sforati. Fino a quando gli italiani sopporteranno con rassegnazione che si approfitti con tanta indecenza della loro pazienza?
Ecco come, già da queste annotazioni spicciole, si annuncia il renziano «Partito nazionale». Ma c’è una profonda differenza rispetto al tetro ventennio. Il Partito nazionale fascista, supporto della dittatura, si ammantava di nazionalismo e si piccava di porre al primo posto «l’interesse della nazione». Ciò si è dimostrato infine del tutto falso, perché ha gettato il paese in bocca alla Germania nazista e in una guerra rovinosa, ma un “discorso” per la nazione – pur pro-oligarchia, pur militarista, pur imperiale – c’è stato, almeno inizialmente. Invece, il Partito nazionale di Renzi sta procedendo nella piú abietta sottomissione agli imperativi Usa, Ue-Bce, Stato tedesco, Fmi e «organismi internazionali», grande capitale transnazionale, e nella svendita di quanto resta dei, pur capitalistici, grandi gruppi del paese. Anche la nuova denominazione è mistificante: va chiamato, per correttezza, Partito anti-nazionale – del resto, un aedo di questo processo, il Benigni, non ha detto (all’incirca, ma questo è il senso): “la sovranità nazionale? Che importa! Bisogna continuare a sognare”.
CB