Le elezioni in Israele hanno trovato poco spazio nella cosiddetta «informazione», messe in ombra dall’attacco dell’Isis al museo del Bardo a Tunisi prima, dalle elezioni dipartimentali in Francia e da quelle in Andalusia, nonché dall’ennesima corruttela nella Pubblica amministrazione che ha portato alle dimissioni del ministro delle Infrastrutture, Lupi: squallida vicenda di casa nostra, tassello di uno scenario divenuto ormai immancabile ingrediente quotidiano di articoli e notiziari.
Tutti aspetti che meritano attenzione, ma utilizzati come diversivi rispetto ad altri eventi, per certi versi forse anche piú significativi: non ci si limita a esporre i fatti con documentazione supportata da analisi – il che per lo piú lascia a desiderare –, ma si insiste su cronaca spicciola, gossip a effetto, pareri, punti di vista, ipotesi, che occupano quasi tutto lo spazio dell’«informazione» su stampa e tg, onde catturare l’attenzione per giorni e giorni, distraendola da vicende significative, e silenziate.
È il caso delle elezioni in Israele: se n’è parlato per un giorno in coda ai tg e accennato all’interno dei quotidiani. Eppure si tratta del Vicino oriente, teatro di tensioni (ed atrocità) che non riguardano solo quest’area, ma sono un “focolaio” in una zona di incrocio di interessi internazionali (e di miliardi sonanti e ballanti) che è, di fatto, una polveriera.
All’appello del luglio 2014 per il riconoscimento dello Stato palestinese firmato 98 premi Nobel, artisti e intellettuali, era seguito il 17 febbraio 2015 l’appello internazionale all’Ue, firmato da intellettuali, giuristi, professori, avvocati, religiosi: destinatari l’Alto commissario per gli affari esteri e la sicurezza dell’Ue, la Mogherini, il presidente della Commissione, Juncker, e tutti i ministri degli Esteri degli Stati membri, a cui si chiedeva di adoperarsi per interrompere crimini e violazioni dei diritti umani commessi da Israele in quell’area, sostenendo il Tribunale internazionale, alla luce dell’ultima operazione militare contro la Striscia di Gaza e dell’adesione della Palestina alla Corte penale internazionale tra i primi firmatari, l’arcivescovo emerito di Gerusalemme. Sempre nello scorso febbraio Ilan Baruch, ex ambasciatore israeliano in Sudafrica ed ex membro del team di negoziatori di Oslo, aveva inviato al parlamento italiano una lettera firmata da circa 1.000 intellettuali israeliani – tra cui gli scrittori Yehoshua, Oz, Grossman, professori universitari, il premio Sacharov del parlamento europeo Nurit Peled, l’ex presidente della Knesset, Avraham Burg, politici, diplomatici e alti ufficiali dell’esercito , in cui si chiedeva un pronunciamento a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina, senza condizionamenti.
In parlamento venivano presentate due mozioni: una di Sel e una del Psi; il M5S si dichiarava disposto a votare l’una o l’altra, purché ai palestinesi fossero riconosciuti i loro diritti. La Lega e Forza Italia si dichiaravano ovviamente contrarie e il Ncd preferiva “rimettersi” alle trattative tra israeliani e palestinesi, come sostenne Cicchitto per Area popolare (Ncd & Udc, convolanti a “giuste” nozze per le prossime regionali, dato che pare siano sul 2 o 3% dei consensi). Dato l’incombere della fiducia sul decreto «milleproroghe» il Pd ha, prima, fatto slittare la questione, poi il parlamento ha approvato due nuove mozioni: una del Pd e l’altra di Ncd-Udc, con cui peraltro il governo si era dichiarato d’accordo, “molto prudenti”. Oltre che ambigui, i due testi sono contraddittori: quello del Pd «impegna il governo a “promuovere” il riconoscimento della Palestina di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace», insomma un negoziato bilaterale tra le parti, ossia logica da scaricabarile; l’altro subordina l’impegno per il riconoscimento dello Stato palestinese al raggiungimento di un’intesa politica tra le parti e alla ripartenza del processo di pace. E tutti si sono detti soddisfatti.
Il Pd «ha mostrato il ridicolo, la malafede e anche l’ignoranza dei fatti, quando ha votato anche la mozione Ncd-Udc, dove si rovesciano i termini della questione, e dove si chiede ai palestinesi di riconoscere lo Stato d’Israele» (L. Morgantini, «il manifesto», 03.03.2015). La destra nazionalista e dei coloni (Netanyhau, Liebermann, Bennet) ha ringraziato! Con tale operazione pilatesca il parlamento italiano si lava le mani della causa palestinese: stando cosí le cose, se mai si arriverà a riconoscere uno Stato palestinese, per quanto dipende dall’Italia, non ci sarà piú territorio per i palestinesi, perché l’intera area sarà stata occupata dai coloni israeliani.
Due terzi dei paesi membri delle Nazioni unite si sono pronunciati a favore dello Stato palestinese, come, nell’Ue, Svezia, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Romania, Polonia e Ungheria. Contrari da sempre gli Stati Uniti & piú stretti alleati, tra cui Israele e lo Stato d’Israele è stato voluto e istituito in primis dagli Usa, come avamposto della loro penetrazione imperiale nel Vicino oriente.
A ridosso del voto parlamentare si era levato un coro di voci univoche, contrapposte ai messaggi sopra citati in favore della Palestina, per scongiurarne l’approvazione: voci di casa nostra. La litania era la seguente: “qualsiasi riconoscimento prematuro (sic! N.d.r.) non farebbe altro che incoraggiare i palestinesi a non ritornare ai negoziati e allontanerebbe le possibilità di pace”. Questa la musica intonata dall’ambasciata israeliana in Italia, con l’eco delle comunità israelitiche italiane tra esse quelle di Roma, Trieste, Milano, Livorno, e il direttore dell’Associazione Hans Jonas, e il presidente dell’Unione delle Comunità israelitiche, Enzo Gattegna. Ha scritto un commentatore:
tra gli ebrei italiani e europei esistono associazioni, come la “Rete ebrei contro l’occupazione”, che hanno adottato [… un] atteggiamento di giustizia e amicizia per i palestinesi. Ma la maggioranza, o totalità, delle Comunità ebraiche si sono schierate in difesa di Israele, qualsiasi crimine esso commetta.
A parte lo sdegno per tanto squallore – e i membri delle Comunità israelitiche in Italia non sono tutti sfegatati paladini della cosiddetta destra, dato che adepti del Pd non mancano nelle loro file –, chiediamoci quale strategia perseguano i nostri ineffabili governanti, sempre a rimorchio di scelte altrui, con l’aggravante, in particolare dell’attuale governo, di “strizzare l’occhio” a tutti quelli che “contano”, in casa e fuori. Se non altro l’avanzata dell’Isis su lidi che sono il nostro cortile di casa avrebbe dovuto dissuadere da scelte che sono benzina sul fuoco. Mentre l’Occidente cerca di coinvolgere l’Iran (e la Siria di Assad) nell’impegno contro il Califfato, si coltivano buoni rapporti con paesi – a partire dall’Arabia Saudita e il Qatar – che lo supportano: l’Isis, come già Al Qaeda, sono nati e cresciuti in area sannita, e dunque i paesi sciiti, «Stati canaglia» ieri, vengono promossi a possibili preziosi alleati con qualche pretesa e distinguo (piú asserito che credibile) da chi si ritiene depositario dell’ordine mondiale. Ed è del 26 marzo la notizia che Arabia saudita ed Egitto appoggiano militarmente i sunniti dello Yemen nello scontro con gli sciiti, sostenuti dall’Iran e dalla Russia. Alla vigilia delle elezioni in Israele il premier israeliano Netanyhau aveva rivolto al Congresso Usa un infuocato comizio a sostegno della propria causa, con facile consenso della componente repubblicana; non pare però che il democratico Obama, prematuramente insignito del Nobel per la pace, abbia dato risposta adeguata. Alla vigilia delle elezioni in Israele, mentre Netanyhau tuonava «se vinco io niente Stato di Palestina», scrive Zvi Schuldiner, docente di politica e di pubblica amministrazione al Sapir Academic College in Israele, ed editorialista del «manifesto» (17.03.2015):
il lato piú tragico di questa contesa elettorale […] è la mancanza di un’alternativa reale, seria, sia in termini di pace e guerra, che di sfida all’egemonia neoliberista che domina il paese. […] Di fronte alla linea di Netanyhau, con la sua alleanza fondamentalista e ultranazionalista, e la distruzione dell’incerto processo di pace, l’opposizione non sembra avere la statura politica necessaria per avviare un cambiamento radicale e un vero dialogo di pace con i palestinesi. Di fronte al neoliberismo degli ultimi 30 anni, con Netanyhau nel ruolo di paladino piú fedele, l’opposizione non sembra un’alternativa reale e condivide molte delle grandi “verità” della grande «chiesa dei credenti del sacrosanto libero mercato». Adesso sono tutti al “centro” […]. Anche se le elezioni registreranno un cambiamento, in ogni caso le fosche nubi del nazionalismo, della guerra, del razzismo e del neoliberismo continueranno a minacciare il futuro della regione.
E, tornando sull’argomento a elezioni avvenute, dice: stando ai sondaggi
sembrava che la destra […] avrebbe ottenuto un risultato modesto, in grado di ridimensionare il prestigio di Netahyhau. Ma [… a Washington Netanyhau ha denunciato] che l’Iran e Hamas minacciavano l’esistenza dello stato ebraico.
A fronte di una vittoria – peraltro improbabile – della sinistra, anche l’Isis avrebbe minacciato l’esistenza di Israele, di cui l’unico garante era Netanyhau stesso.
Le opposizioni del fronte anti-Bibi [Netanyhau, n.d.r.] balbettavano timide richieste di riforme in campo economico-sociale […] ma nessuno ha sfidato sul serio la politica della paura. […] L’unità fra i partiti arabi ha avuto un forte impatto sulla società israeliana e il leader della lista – e del partito comunista – è diventato un leader di livello. Ma mentre si votava il nostro magnanimo grande primo ministro ha pubblicato sulla sua pagina facebook un appello urgente: “molti arabi stanno votando”; come dire agli ebrei: forza, forza, andate a votare prima che gli arabi ci rubino il paese insieme alla sinistra, traditrice della patria. […] La politica della paura ha funzionato. Predominante in Israele negli ultimi decenni, essa promette di infittire le tenebre nelle quali il paese vive. E il primo ministro Netanyhau può ora realizzare una coalizione nella quale la destra predomina con la forza. [… Peraltro] la coalizione precedente non ha tenuto davvero a bada le iniziative antidemocratiche. […] Si è accentuata la necessità di trasformare Israele in uno Stato confessionale ebraico, che disconosce la presenza di quel 20% di cittadini palestinesi israeliani, musulmani in maggioranza, e poi drusi o cristiani. Oggi in Israele il razzismo è all’ordine del giorno. [… A] Gerusalemme gli attacchi fisici a cittadini arabi sono una routine settimanale. L’incitamento alla violenza da parte della destra non trova ostacoli nemmeno verbali […]. Netanyhau non ha messo alcuna serietà nei negoziati, l’occupazione continua e un intero popolo vive sottomesso con la violenza alla supremazia israeliana, privato dei piú elementari diritti politici. La destra peggiorerà – non può essere diversamente – la situazione attuale, continuerà a costruire colonie israeliane nei territori occupati e questo prima o poi porterà a nuove crisi violente. Presto o tardi il grande magnanimo primo ministro provocherà un’altra guerra di “difesa”; l’apartheid è sempre piú feroce e solo da fuori è possibile frenare il grande piromane il quale cercherà di nuovo di attaccare l’Iran, con l’aiuto dei falchi statunitensi […]. La politica della paura domina, rafforzando estrema destra e fondamentalisti. Adesso, senza la copertura “delicata e diplomatica” di alcuni sciocchi “moderati” […] che hanno sempre contribuito a migliorare la nostra immagine all’estero, chi continua a blaterare sull’“unica democrazia” dovrà affrontare la realtà di una specie di nuovo Sudafrica , in cerca di una chiara e pericolosa egemonia regionale («il manifesto», 19.03.2015).
Il 29 novembre del 2012 il governo italiano aveva votato all’Onu «sí» al riconoscimento dello Stato di Palestina nei confini del 1967, con Gerusalemme est come capitale: il 27 febbraio 2015 ha preferito assecondare i falchi d’Israele.
CB