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DECLASSAMENTO DEL DEBITO, RICADUTE  E GALOPPINI SUBALTERNI

A seguito del declassamento del debito sovrano italiano da parte di «Standard & Poor’s»  in due tornate tra il 2011 e il 2012  la Procura di Trani intentò nei mesi seguenti un processo contro l’agenzia di rating e la banca d’affari Usa «Morgan Stanley», azionista di «Mc Graw Hill Financial Inc.», di proprietà di «S&P»: la «Morgan Stanley» avrebbe esercitato la sua influenza sul giudizio dell’agenzia di rating per trarne vantaggio. Per il declassamento da A a BBB+ l’allora governo Monti pagò € 2,5 miliardi, benché – ammette il «Sole-24 ore» (05.03.2015)  «stesse rimettendo a posto la finanza pubblica». Di fronte al procedimento di Trani le reazioni furono di incredulità e fastidio, se non di ridicolizzazione. Una modesta procura di periferia voleva attaccare un simile colosso, con motivazioni fantasiose, se non proprio come pretestuose almeno bizantine? Politici di ogni orientamento e toghe di mezza Italia guardarono con sufficienza all’iniziativa, lasciando intendere che sarebbe stata un buco nell’acqua dettato da smania di protagonismo  e tribunali di altro calibro non si erano neppure sognati iniziative analoghe. L’inchiesta di Trani si era avviata per un esposto presentato da alcune associazioni di consumatori nel quale si sosteneva che i declassamenti del debito italiano erano funzionali a un’enorme speculazione ai nostri danni orchestrata dai colossi finanziari in combutta con le agenzie di rating. La denuncia era stata recapitata a una decina di Procure della Repubblica, da Roma a Milano, ma soltanto quella di Trani la prese in considerazione» («Corriere della Sera», 09.03.2015). Ora però anche la Procura della Repubblica di Roma ipotizza la manipolazione dei mercati 

[… indagando] sulla clausola di scioglimento anticipato del contratto derivato sottoscritto nel 1994 tra il Tesoro e la banca d’affari Morgan Stanley, che ha consentito di incassare 2,5 miliardi di euro tra dicembre 1011 e gennaio 2012 

riferisce il «Sole-24 ore»: e gli investigatori hanno definito la clausola «unica nel suo genere». Sul contenuto della clausola i magistrati di Trani avrebbero ascoltato la responsabile del debito pubblico Maria Cannata:

contratti simili erano stati sottoscritti anche con l’Ubs, ha spiegato il tecnico del Tesoro, ma, anche se vi era la possibilità di uno scioglimento anticipato, era stato consentito allo Stato di far “subentrare un’altra banca” permettendo cosí un minor esborso» («Il Sole 24 ore», 05.03.2015).
[Afferma il giornale:] l’ipotesi inquirente [della Procura di Trani] è che il declassamento e la clausola di rescissione del contratto siano illecitamente connesse per via delle azioni possedute dalla banca in S&P. Tuttavia la Cannata smentisce questo particolare affermando che il contratto con Morgan Stanley era legato al mark-to-market. Ossia al valore di mercato di un derivato a un determinato istante. Siamo nel periodo tra dicembre 2011 e gennaio 2012. […] Aggiunge [la Cannata] che nel contratto quadro sottoscritto nel 1994, qui al Tesoro, c’era una clausola che dava diritto alla Morgan Stanley di chiedere la risoluzione anticipata e quindi con il pagamento del relativo controvalore, al superamento di una certa soglia di valore di mark-to-market. Questo valore era molto basso, ma la controparte non aveva mai esercitato questa clausola. Questo, per […] i buoni rapporti, insomma ci teneva alla relazione con la “Repubblica” [virgolettato nel testo, n. d. r.] italiana. Poi, arrivati alla fine del 2011, in quel periodo particolarmente turbolento – racconta il dirigente dell’Economia – “i responsabili della vigilanza della banca, che aveva un’esposizione molto rilevante nei confronti della Repubblica, fecero presente che, avendo questa clausola, dovevano in qualche modo farla valere, perché quell’esposizione era eccessiva […] credo tre miliardi e mezzo”. Spiega che la richiesta sarebbe giunta direttamente dalle autorità di sorveglianza americana e inglese [era coinvolta nell’operazione citata anche la britannica Fitch, n.d.r.], rispettivamente la Sec e la Fse. Tuttavia racconta che la Morgan Stanley non forní un documento delle autorità, cosí “abbiamo preteso dalla banca che ci facesse una dichiarazione dove, sostanzialmente, dice questo: le nostre autorità ci dicono che questa esposizione è eccessiva, dobbiamo assolutamente risolvere”. La Cannata, poi, spiega che nel 2012 il vicepresidente della banca d’affari era Domenico Siniscalco, ex ministro dell’Economia e delle finanze tra il 2004 e il 2005 con l’ex premier Silvio Berlusconi.

L’operazione sarebbe stata conclusa con alti funzionari dell’istituto, ma l’interpellata dice che

la chiusura del contratto sarebbe stata […] una forzatura. […] Morgan Stanley non ha piú avuto “mandato con noi” […] perché ci aveva assicurato che gestendo in questo modo la cosa si sarebbe mantenuta la massima riservatezza [… e aggiunge] “non tanto il fatto che loro […] abbiano esercitato questa clausola dopo essersela tenuta lí per almeno un decennio, se non di piú, senza attuarla; ma quanto il fatto che non abbiano tenuto fede all’impegno di riservatezza che si erano assunti nel procedere in questo modo, quello ci ha creato secondo me un danno, infatti Morgan Stanley non ha piú preso un mandato finora”  [Cosí Ivan Cimmarusti, sul «Sole-24 ore»].

«La vicenda esplosa […] con gli addebiti avanzati dalla Procura di Trani […] merita […] un approfondimento» 

sostiene Claudio Gatti sul «Sole-24 ore», esaminata l’ipotesi degli inquirenti, che articola in cinque punti, elencando i dati noti, l’ultimo dei quali suona:

pur sapendo che a Trani c’era un procedimento penale in corso che metteva in discussione la legittimità della misura presa dalla agenzia di rating, il Mef [ministero dell’Economia e delle Finanze, n.d.r.] ha prontamente pagato quell’altissimo prezzo. La ricostruzione è tanto lineare quanto basata su dati e fatti storici facilmente verificabili.

E singolarmente ne deduce:

come ogni migliore teoria del complotto. Ma un’analisi non di parte [davvero? N.d.r.] degli stessi dati e fatti storici porta a una ricostruzione ben diversa. [Quale?] La procura di Trani disgiunge il giudizio dato da S&P sull’Italia da quello espresso nello stesso periodo su praticamente tutti gli Stati del mondo occidentale [… ivi compreso il] debito sovrano degli Stati Uniti, che per la prima volta dal 1941 perdevano cosí la tripla A. […] Nel gennaio 2012 […] S&P ha declassato il debito sovrano di altri otto paesi europei facendo tra l’altro perdere l’agognata tripla A anche a Francia e Austria e portando il Portogallo sull’orlo del collasso finanziario […]. Il 20 novembre 2001 […] S&P ha declassato la stessa Morgan Stanley, assieme alle 14 altre banche principali americane. Insomma si era nel pieno di un ciclo di grandissimo rigore ( se non addirittura inflessibilità) delle agenzie di rating chiaramente alimentato dalla necessità di recuperare credibilità dopo le imbarazzanti rivelazioni sull’“indulgenza” dimostrata nelle valutazioni dei pacchetti di mutui tossici.

“Indulgenza” – a essere benevoli – di cui le società di rating avevano già dato ampia prova: «è conclamato che in capo a quelle società si intreccino conflitti d’interessi mai risolti, capaci di gettare ombre sulle decisioni», sostiene Sergio Rizzo («Corriere della Sera», 09.02.2015), ricordando «le figuracce rimediate nei casi Enron e Parmalat». Per tornare a Gatti, il giornalista menziona «la pubblica denuncia di Monti (e di altri politici o economisti italiani)», concludendo che «di fronte agli equivalenti declassamenti, i politici di tutti gli altri paesi hanno reagito in quell’esatto modo». Aggiungendo – quasi a sminuire le sue stesse tesi – che

anche dopo essersi accorta di aver sovrastimato di 2mila miliardi il deficit americano, Standard&Poor’s aveva confermato la decisione di declassare il debito sovrano per via del “pantano politico” [… per cui] il portavoce del Tesoro Usa ha reagito con parole ben piú mirate e deleterie di quelle usate da Monti: «la magnitudine dell’errore e la prontezza con cui si è cambiata la natura della motivazione – da economica a politica – lasciano senza parole. E danno l’idea di un’istituzione che parte da una conclusione e poi costruisce le argomentazioni per provarla. Il che solleva questioni fondamentali sulla credibilità e l’affidabilità dei giudizi di S&P» [ e delle rimanenti agenzie di rating, va aggiunto, n.d.r.].

Ma la Cannata sostiene, nell’intervista citata, che il declassamento

non faceva scattare la clausola che permetteva a MS di monetizzare quello swap [… ma] piuttosto il rischio credito, cioè l’eccessiva esposizione di un cliente “a rischio” qual era considerata in quel momento la Repubblica italiana. La banca newyorkese aveva infatti in pancia innumerevoli derivati con il Tesoro che “valevano” svariati miliardi di euro. […] L’Italia era sotto [..] schiaffo […] cioè molto esposta e considerata molto debole. Questo venne ritenuto inaccettabile dalle autorità di sorveglianza.

D’altra parte, «la stessa Morgan Stanley era allora “sotto schiaffo” del mercato» – sostiene Gatti – «tant’è che a novembre 2011 […] una “polizza” di copertura dal rischio di un suo default era quotata a ben 488 punti- base, tanto quanto quella delle banche ritenute instabili come quelle italiane». Sarebbe pertanto chiarito il motivo delle pressioni da parte delle autorità Usa. Dice Morya Longo («Sole-24 ore», 05.02.2015):

nessuno ha raccontato fino a ora come il ministero dell’Economia ha gestito dietro le quinte quella grave emergenza in cui l’Italia ha sfiorato il default: attraverso un sorta di baratto con le banche internazionali. Da un lato loro hanno continuato a sottoscrivere titoli di Stato in asta, evitando al paese il peggio, dall’altro il Tesoro ha rinegoziato con le stesse banche un po’ di contratti derivati esponendosi a rischi e possibili perdite future a fronte di un incasso immediato. Un do ut des. […] È proprio dietro questi tecnicismi, [ illustrati con dovizia nell’articolo] incomprensibili alla maggioranza della popolazione, che si nasconde il baratto. […] L’esito di questa operazione si vede oggi nel valore di mercato (mark to market) dei derivati della Repubblica italiana, che – nel complesso – sono negativi per 42 miliardi. Solo le “Swaption” [opzioni particolari vendute alle banche dal Tesoro, che danno a quest’ultimo un beneficio immediato ma lo espongono a rischi futuri, n.d.r.] danno a chi le compra il diritto di accendere un derivato […] in futuro a un tasso prestabilito. Vendendole alle banche, dunque, il Tesoro è come se avesse dato loro il coltello dalla parte del manico. “Vendere Swaption significa fare speculazione, in quanto il rischio di dover pagare un differenziale di tasso penalizzante viene trasferito dalle banche allo Stato”, spiega Nicola Benini […] vicepresidente di Assofinance. Ne consegue che «l’Italia [… è] ostaggio della finanza e delle grandi banche, che hanno sempre la possibilità di “staccare la spina” sui titoli di Stato e di mettere in difficoltà il paese.

Dello stesso avviso anche Sergio Rizzo, nel citato articolo del «Corriere della Sera», che conclude con alcuni interrogativi retorici, dato che la domanda contiene già la risposta:

esiste davvero una profonda e inconfessata sudditanza del nostro potere politico, di quale orientamento poco importa, nei confronti della grande finanza internazionale? Un atteggiamento che potrebbe essere motivato dai 160 miliardi di derivati emessi da quei soggetti che il Tesoro ha in portafoglio, e come sta a dimostrare il caso Morgan Stanley possono rivelarsi una bomba a orologeria: meglio allora non farli arrabbiare. Comprensibile, forse. Impossibile, però, non notare come molti dei nostri ex ministri ed ex direttori generali del Tesoro, per non parlare di qualche ex presidente del Consiglio, abbiano avuto in passato o abbiano tuttora rapporti di consulenza o dipendenza con le merchant bank che ci hanno finanziato o hanno prestato servizi lautamente retribuiti dallo Stato italiano. Anche questo aspetto andrebbe chiarito una volta per tutte.

Ora «si dà il caso che ci sia un processo in corso nel quale gli interessi dello Stato non sono affatto trascurabili»  sostiene Rizzo sul «Corriere della sera» (09.02.2015). «Se dovessero emergere elementi ulteriori – ha dichiarato il ministro [Padoan, n.d.r.]  il Mef valuterà la possibilità di costituirsi parte civile nel processo di Trani» (Cimarrusti, il «Corriere della sera», 05.02.2015).

Mentre Gatti sul «Sole-24 ore» tende a escludere ogni possibilità di manipolazione del mercato, Rizzo sul «Corriere» fa trapelare qualche riserva. Entrambi però bollano come risibile l’eventualità di un qualche intervento internazionale volto a orientare gli eventi, né si parli di complotti, men che mai ai danni dell’allora governo Berlusconi  da contraltare «Libero» e «Il Giornale», che invece di tale ipotesi fanno una bandiera.
Ora, non si tratta di “fare del complottismo”: complotti si possono verificare, ma sono comunque aspetti che si verificano all’interno di un “sistema”, che, per sua stessa natura, è portato a espandersi, occupando tutti gli spazi possibili in ogni direzione, secondo una dinamica inarrestabile, pena la sua stessa sopravvivenza. Non si tratta, insomma, di eliminare eventuali “escrescenze maligne che inquinano un corpo sano”: tali macroscopiche evidenze sono soltanto specifiche manifestazioni del suo modo di essere. Non è chiaro, però, come Gatti possa tranquillamente escludere responsabilità e intenti della grande finanza internazionale nella vicenda, che trapelano a un lettura appena attenta della sua stessa esposizione.
Il limite delle esposizioni citate è che viene evidenziato il ruolo della finanza, trascurando quello dell’economia reale, che precede e determina la macroscopica elefantiasi della prima. Il tutto coadiuvato efficacemente dal politico-statuale. L’economico-capitalistico e il politico-statuale sono i due pilastri su cui l’attuale “sistema” si regge, a livello internazionale come nelle sue articolazioni periferiche. Quanto al “sistema” è funzionale, e fintanto che lo è, regge ed è sostenuto dal “sistema” stesso; nel momento in cui non lo è piú, viene messo fuori gioco. È quanto avvenuto con il governo Berlusconi e continua ad avvenire tutte le volte che un’analoga circostanza si presenta. Pregi e difetti, vizi e virtú, capacità ed errori dei soggetti in causa sono soltanto orpelli marginali, finalizzati a gettare un po’ di fumo negli occhi: ed è preoccupante – e grave  che tanti galoppini subalterni si affannino a escogitare capziose argomentazioni – da modesti mestieranti, attenti a non turbare l’ordine costituito , piuttosto che fornire un’informazione degna di questo nome.

CB

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