(Testo integrale: http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/02/giulio-regeni-dove-volano-gli-avvoltoi.html)
Due cose sono infinite. L’universo e la stupidità umana. E non sono sicuro dell’universo (Albert Einstein).
Le azioni sono ritenute buone o cattive, non per il loro merito, ma secondo chi le fa. Non c’è quasi genere di nequizia – tortura, carcere senza processo, assassinio, bombardamento di civili – che non cambi il suo colore morale se commessa dalla “nostra” parte. Lo sciovinista non solo non disapprova atrocità commesse dalla sua parte. Ha anche una notevole capacità di non accorgersene (George Orwell).
Sulla persona di Giulio Regeni, probabilmente fatto trovare morto con segni di tortura, non ho elementi e diritto di pronunciarmi. Prendo atto della sua formazione accademica anglosassone, della sua vicinanza giornalistica al piú discutibile e filoccidentale informatore sul Medioriente (Giuseppe Acconcia, «il manifesto»), del suo impegno per i «sindacati indipendenti». Leggo sul «Giornale» la notizia per cui Regeni avrebbe lavorato per il servizio segreto Aise. La prendo con le pinze, come l’uragano di interpretazioni uniformi e apodittiche, scatenate sul solito pubblico basito e disarmato, in unanimità dal «manifesto» e «Fatto Quotidiano», e dalla gran maggioranza dei mainstream media di stampa e radiotv. In ogni caso, compiango la sua morte e il dolore dei suoi.
Non ho certezze, ma come per tutti gli avvenimenti di portata strategica e fortissima pressione sull’opinione pubblica, potenziata dai media, mi permetto di rilevare indizi e raggiungere un’ipotesi che ha la stessa dignità e validità di quelle conclamate con sicumera da tutti gli altri che, a minuti dalla scoperta del cadavere, sanno già perfettamente su chi puntare il dito.
Regeni scriveva per «il manifesto» sotto pseudonimo. Per timore di rappresaglie, dice la direttrice del giornale, dotata di certezze incrollabili fin da subito. Perché? E gli altri, che dal Cairo sparano a zero sul governo Al Sisi, in prima linea il pasionario dei «Fratelli Musulmani» Acconcia, e i corrispondenti di «New York Times», «Guardian», «Al Jazeera» e tanti altri, non avari di critiche anche sanguinose al “dittatore”, com’è che firmano rischiando di finire tagliuzzati in un fosso di periferia?
Un criminale? Per chi? Non mi pronuncio sulla natura del governo del presidente, ex.generale, Al Sisi. Mi mancano gli elementi e, alla luce di esperienze solide, diffido delle fonti portate, con scarsa avvedutezza giornalistica (ma con comunanza di interessi e motivazioni) in palmo di mano e consacrate dal «manifesto», «Fatto», «Tg3», «Corriere», etc.: numeri abbacinanti di detenuti scomparsi, seviziati, stuprati, forse veri, ma che sono il solito copia-e-incolla delle campagne contro altri leader di paesi da radere al suolo. Trattasi, per le fonti, della famigerata genía di Ong che governi piú avveduti di quello egiziano hanno messo al bando da tempo e che, quando domestiche, come la «Commissione Egiziana per i Diritti e la Libertà» sono fautori di mercati e “democrazie occidentali”, ripetono la vulgata sui diritti umani, mai riferita a Usa, Regno Unito, Francia, Bahrein, con riferimento ad agenzie sion-imperialiste come «Hrw» e «Amnesty International», spesso a guida della nota lobby e veterani di Washington. Sul «Fatto» si è impegnato Leonardo Coen (interprete puntuale delle posizioni di Israele), appena finito di intingere la sua penna nel sangue delle vittime False Flag di Parigi e nella polvere da sparo della Nato anti-Putin.
E diffido di chi, per anatemizzare Al Sisi, si schiera vigorosamente dalla parte dei «Fratelli Musulmani», storica Quinta Colonna del colonialismo occidentale e oppositori, politici e terroristi, di ogni Stato arabo laico e antimperalista. Diffido di chi sorvola sul catastrofico periodo nel 2013 in cui, grazie a pochissimi voti, per lo piú frutto di clientele, ricatti e brogli, si era impadronito del potere il «Fratello Musulmano» Mohamed Morsi. E ci si è disinvoltamente scordati dell’imposizione forzata di un integralismo islamico paragonabile a quello wahabita dell’Isis (che è una delle varie filiazioni della «Fratellanza»), con sharía e punizioni corporali, della soppressione di diritto di sciopero e sindacati non islamisti, delle sparizioni di oppositori, dell’ulteriore crollo di economia e condizioni sociali, delle sparatorie sugli operai manifestanti ad Alessandria.
Il fascista religioso buono. Si reitera il rosario delle nefandezze di Al Sisi. Golpista e dittatore, non piú di quanto non sia stato Morsi, ma meno in quanto esente da strangolamenti religiosi di una società laica. Si trascura che, dopo pochi mesi di regime integralista e autocratico, Morsi fu spazzato via da una rivolta di venti milioni di egiziani, di cui alcuni milioni in piazza Tahrir, contro il «fascista religioso». Al Sisi fu messo in sella da questi moti di massa e confermato in elezioni non meno “democratiche” di quelle della vittoria di Morsi, anche a rischio di scegliere il cosiddetto male minore del «fascista laico». Lo scontro divenne cruento il 13 agosto 2013: i «Fratelli» arroccati in piazza Rabi’a presero a fucilate le forze dell’ordine, che risposero, con alcune centinaia di vittime.
Non sono piú stato nell’Egitto di Al Sisi e non posso esprimere giudizi che non soffrano di interpretazioni strumentali. Ma se è vero che ci sono tanti arresti, condanne a morte di massa (quasi mai eseguite), se la sorveglianza sull’opposizione, specie quella piú organizzata da sempre dei «Fratelli», è asfissiante, se la repressione è intollerabile, buona parte di tutto questo va accreditato al terrorismo lanciato dalla «Fratellanza» sotto varie sigle in Sinai e nelle metropoli, da Assuan a Suez, costato migliaia di morti tra militari, poliziotti, civili inermi, turisti. Una campagna di stragi e di boicottaggi di sicurezza ed economia a cui ha fornito un contributo decisivo l’abbattimento sul Sinai, il 31 ottobre 2015, del Metrojet russo con 224 passeggeri, di matrice anti-russa e anti-egiziana, dunque, chiarissima. Al Sisi sarà quel che sarà, ma per attribuirgli la proliferazione del terrorismo jihadista, come risposta al regime repressivo, fino al delirio di dirlo responsabile degli attentati di Parigi, bisogna essere o ottenebrati dall’amore per il mostro islamista, generato dai soliti noti, o esserne al servizio. O essere Acconcia, che l’ha scritto.
Norma Rangeri parla di “avvoltoi” sul corpo del povero ragazzo. Ci sono, come no. Ma per riconoscerli la direttrice del «manifesto», in cui si avvicendano, accanto ai «Fratelli Musulmani», i corifei della civilizzazione dell’Afghanistan e i compagni dei «rivoluzionari democratici di Bengasi», dovrebbe guardarsi attorno da vicino. Mi ricorda molto il volteggiare di avvoltoi su carcasse, l’uso geopolitico che si fa di Regeni.
Dipaniamo i fatti. Mohamed Al Sisi liquida la «Fratellanza» che è Isis, Al Nusra e altri, e lo strumento principe dietro cui mascherare la guerra agli Stati arabi liberi, laici e non proni. Sostiene in Libia, anche militarmente, il governo laico e parzialmente gheddafiano di Tobruk e il suo comandante militare Khalifa Haftar (“bau bau” di Acconcia), l’unico che contro l’Isis, rintanato a Derna e Sirte (ora con i suoi capi fuggiti da Siria e Iraq), fa qualcosa di concreto. Rappresenta, per la soluzione del groviglio libico una soluzione alternativa a quella colonialista della Nato, già in atto con forze speciali-squadroni della morte.
Dopo Iraq, Libia, Siria, l’Egitto? Ma questo è niente. Con il raddoppio del Canale di Suez, realizzato in solo un anno, e con la scoperta, orgasmatica per il partner Eni, del piú vasto giacimento di gas del Mediterraneo, l’Egitto diventa la prima potenza energetica su questo mare, libera da condizionamenti esterni, riferimento politico ed economico per Stati e popoli della regione. Con dispetto di Israele e dei suoi stretti alleati sauditi, turchi e del Golfo. Accentuato dal crescente rapporto politico, economico, militare con la Russia che ai suddetti ha davvero rotto le uova nel paniere, scompaginandone i piani di annientamento di Siria e Iraq. Obama fa buon viso a cattivo gioco, rinnovando forniture militari. Ma non si intende lasciare campo libero a Mosca. A esprimere il risentimento e la collera degli Usa e di Israele ci pensano le Ong sion-imperialiste, che «manifesto» e compari atlantici definiscono «indipendenti», le stesse che hanno liberato le vie del cielo ai bombardieri su Belgrado e Tripoli (ricordate il «dittatore sanguinario» Milosevic? O il «dittatore pazzo» di Libia che bombardava la sua gente e foderava di viagra i suoi supratori in uniforme?).
È paradossale che tutti questi commentatori e cronisti si parino il culo ammonendo contro le conclusioni avventate e precipitose su quanto accaduto al Cairo, per poi giungere alle piú spericolate aporie per cui il responsabile, diretto o indiretto, è uno solo, Mohamed al Sisi. E diventa un segno della sua colpa il fatto che due sospetti siano stati arrestati “cosí presto”. Figuriamoci, cosa avrebbero detto se gli arresti fossero con “sospetto ritardo”. Nessun sospetto invece, per carità, che un regime che vuole eliminare un fastidio, sia cosí sprovveduto da farlo ritrovare. E pieno di bruciature, tagli e con la testa rotta. Cose che la vulgata attribuisce alle abitudini degli sgherri di regime.
Un giovane italiano. Perché? Diventando seri, si è voluto infliggere un’altra mazzata all’Egitto straricco di gas e incline ai giri di valzer. Non si è riusciti a portar via il gas, come con il petrolio di libici, iracheni, siriani. Ma gli si è tolto il turismo, ancora la prima voce delle sue entrate. Ma perché hanno messo di mezzo un giovane e simpatico italiano? Tale da prestarsi subito ai gazzettieri e avvoltoi (non quelli della strabica Rangeri) per la vittimizzazione-eroificazione e concomitante diabolizzazione del colpevole, nemmeno presunto.
L’Italia è il primo partner commerciale europeo dell’Egitto. Con Renzi al Cairo, 6 aziende e l’Eni su un mare di gas davanti alle coste, si sono conclusi accordi commerciali e industriali per parecchi miliardi. Questi scambi e il raddoppiato introito dai diritti sul Canale raddoppiato e 6 nuovi porti, danno un ruolo di grande rilievo all’Egitto a livello regionale e internazionale, e peso alla sua indipendenza e all’indipendenza dei suoi partner da fonti energetiche controllate dagli Usa. L’Italia, ovviamente per i tornaconti suoi, anzi della cricca economico-politica del regimetto Renzi, è controparte non irrilevante di questi sviluppi. Tutto questo va contro i piani, in primis, di Israele e della sua strategia di frantumazione delle grandi realtà nazionali arabe, condivisa dai principati arabi, dal sultanato di Ankara, dai colonialisti europei e dai predator Usa. Per mettere i bastoni tra le ruote del carro egiziano, a guida buona o cattiva non interessa una cippa, gli strumenti sono quelli collaudati in tanti regime change e rivoluzioni colorate. Nel caso lo strumento per colpire l’Egitto, mirando al suo leader, e punire l’Italia, può essere stato un giovane italiano, inerme, ma capace di far volare gli avvoltoi sul cadavere dell’Egitto.