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INTEGRAZIONE

Integrazione … Tutti concordano: va promossa e attuata l’integrazione degli immigrati in Italia (come negli altri paesi europei). E le modalità dell’integrazione investono l’abolito «reato di immigrazione clandestina» (farraginoso, impaludante i tribunali), la polemica pro-/anti-operazioni di Minniti, lo scontro per/contro la legge sullo ius soli (non quanto è già sancito sulla scelta di cittadinanza di immigrati vissuti e scolarizzati in Italia compiuti i 18 anni, bensí la cittadinanza italiana “in automatico” a chi nasce sul suolo italiano). Ma si pone qualcuno il problema dell’integrazione in quanto tale? Non risulta. Però negare, anzi non vedere, un problema non significa eliminarlo.

Integrazione significa unificare soggetti diversi, assimilare “gruppi altri” nel contesto sociale, adeguandoli ai modelli socioculturali esistenti e correnti. Quindi, l’integrazione comporta quanto non viene detto, ma esiste: la disintegrazione di precedenti “modi d’essere” e “vedere le cose”. L’ideologia liberale, dominante nelle sue varianti da destra a sinistra, dice che si tratterebbe “solo” dell’adeguamento a diritti-doveri stabiliti dalla nostra Costituzione e massa legislativa, e della “formazione” nella lingua e cultura del nostro paese; per il resto, ognuno manterrebbe le sue credenze, usi e costumi, nel rispetto reciproco. Poesia del liberalismo! Ma la prosa è tutt’altro.

Quale cultura si fornisce agli “integrandi” quando non la si dà (fuorché asettiche e parziali conoscenze tecniche) nemmeno agli italiani? Dato che la scuola si è allineata sul ruolo a essa assegnato in tutto l’Occidente: «insegnamento dell’ignoranza». E quale vera conoscenza della lingua (al di là dell’uso standard di base, tipo l’anglico corrente) si può dare? Dato che la lingua è il deposito del patrimonio culturale, sempre piú svuotato e relegato nel dimenticatoio. E quale adesione ai diritti-doveri si impartirà, se non un visone astratta, esteriore, di ciò che si fa e di ciò che non si fa (o non si dovrebbe, a meno che si riesca a non farsi “beccare”)? E per il resto, che è fondamentale per il processo di integrazione-disintegrazione, che si indica? La pestilenza della pubblicità, che invade film, telefilm, programmi, perfino tg, in tv e negli stessi siti e “insieme” di internet? La cronaca quotidiana, in primo luogo «nera», su cui insistono tg e trasmissioni ad hoc? Programmi e iniziative demenziali? Dibattiti e polemiche fra questo e quell’esponente politico? L’ossessiva presentazione di papa e papocchie ecclesiastiche? I “modi d’essere” pesudo-trasgressivi che investono tutta la realtà, insieme alla disgregazione sociale (con le sue ricadute «nere») in pieno corso?

Ciò che si dà come «integrazione» è solo trovare qualche reddito (legale, o illegale, o “assistenziale”) per consumare, e un posto per abitare: ossia l’inserimento nel mercato e nel ciclo del capitale. Insieme ad alcune regole, la cui violazione provoca la (possibile, non scontata) reattività dello Stato, che presiede al funzionamento del capitale stesso. E questa integrazione c’è già. Per il resto: o inabissarsi nelle modalità correnti, sotto il chiasso sguaiato della “mediaticità” (con i rituali, in espansione fra i piú giovani, dello «sballo»), e nel non-senso che rimanda a qualche pseudo-soddisfazione immediata di consumo (di vario genere, fino all’“assistenza chimica” di droghe varie, legali, comprese quelle farmaceutiche, e non), per riproporre poco dopo la necessità di un’altra; oppure arroccarsi sulle proprie credenze, usi e costumi, anche se basati su assurdità demenziali (vedi Islam e islamici, con il facile passaggio dall’adesione alla “mediaticità” alla rigidità delle credenze). Anche questa integrazione c’è già. Altra integrazione non c’è, se non il concorso alla disgregazione (segmentazione, polverizzazione, atomizzazione) della realtà italiana (politica, sociale, culturale, individuale) in dispiegamento.

Altro che «sí» o «no» ad accoglienza, cittadinanza, integrazione! È in atto la piena subalternità al disegno del grande capitale transnazionale e sue potenze politico-statuali, e mediatico-culturali, di distruzione di culture e civiltà, paesi e popoli, in un “mescolone” informe. Pensiamo alla differenza con il passato: l’espansione della civiltà ellenica in Italia non si poneva nessuna “questione di integrazione”, ma si affermava di per sé, data la sua valenza; l’espansione (in Italia e in Europa) del Rinascimento (basato sulla ripresa di quanto si poteva dalla civiltà del Mondo antico) non contemplava nessun “problema di integrazione”, ma era spontanea, dato il suo significato. Quando ci si pone “l’esigenza dell’integrazione” in realtà si persegue soltanto la disgregazione, in un melting pot disfunzionale (già del tutto fallito negli Usa), del proprio popolo e delle “genti” estere. Con i dibattenti pro e contro, e i decisi fautori che sono solo «strumenti ciechi di occhiuto dominio».

MM

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