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LA CATALOGNA COME PUNTA DELL’ICEBERG DELLA SITUAZIONE SALIENTE IN EUROPA

Il che non è colto: non dal “grosso” dei media, che, con l’apparenza di “informazione equidistante”, suggeriscono che la spinta catalana all’indipendenza è follia avventurista, che porta i catalani in un cul de sac di disastri (sottolineando imprese e banche che se ne vanno, grazie anche ai favori del governo Rajoi, etc.), mentre parte dei media stessi sono contrari, in base alla mistificante identificazione (ribadita dai post-/para-/pro-fascisti, ma diffusa) fra «nazione» e «Stato» (che sono ben diversi, sia perché è lo Stato che domina sulla nazione come comanda sulla società, sia perché esistono Stati con nazioni diverse, come la Confederazione elvetica). E, in generale, la “questione catalana” è affogata in una mole mediatica di dibattiti, notizie, fatti, alcuni di diversa importanza, altri di minore o nulla rilevanza. Né è colto dalla gran parte delle forze politiche, contrarie e/o silenti, e se il M5S e la Lega hanno appoggiato la Catalogna, hanno lasciato che la “faccenda” comunque “passasse in cavalleria”, né fa parte della campagna elettorale che è (già) in corso. E il referendum del 22/10 per “piú autonomia regionale” in Veneto e Lombardia, se ha visto l’atteggiamento canagliesco (e ottuso) del Pd, allergico alle “voci” dirette della “gente” (è scottato dall’esperienza del referendum del 4 dicembre), e del complesso della gestione delle istituzioni statali italiche, allergica da anni, perché è incerto il “controllo” della “gente”, è stato unito al ritornello (di Forza Italia, della stessa Lega) su “niente a che fare con la Catalogna”.

Invece, la spinta di fondo, non è chiaro quanto consapevole e quanto data dallo “spirito dei tempi”, è la stessa: nella sottomissione ai diktat dell’Ue-euro (con Nato sottesa) e impossibilità di influirvi, nei “colpi” subiti da popoli e paesi dal suo ultra-liberalismo (economico e non solo) costitutivo (che comporta i “vantaggi” per lo Stato piú forte, quello tedesco, nonché per la maggior parte delle oligarchie esterne e interne ai diversi Stati), nella soggezione (voluta) da parte dei singoli Stati-membri (con il refrain “ce lo chiede l’Europa”), la “presa” dei diversi Stati sulle rispettive società si riduce e una gestione piú adatta di risorse e “questioni” a livello locale appare la via di reattività. Di conseguenza, la compattezza degli Stati-nazione ha cedimenti, spinte passate e presenti sorgono o riprendono, e vanno precisamente dall’autonomia all’indipendenza. E tali spinte segnano, comunque, al di là di quanto dicono organizzatori e promotori, l’avanzata nel dissesto del “sistema” Ue-euro (Nato sottesa) & Stati-membri. Sono da sostenere: l’Unione anti-europea va distrutta.

E quanto sta “montando” in Europa non viene colto neanche da certi “analisti marxisti” (residui), che, per esempio sulla Catalogna, la mettono sull’«analisi di classe», sul ruolo della «piccola borghesia» catalana, sull’indipendenza come interesse di parte di questa con parte dell’oligarchia catalana, sul fatto che la vera indipendenza sarà ottenuta solo con la lotta contro il capitale, oppure no, o, in mancanza di ciò, è questione secondaria. Anche di questo non c’è da stupirsi. Perché i “marxisti” sono, anche loro, statalisti: non hanno mai (né teoricamente né attitudinalmente), non diciamo risolto, ma nemmeno posto e affrontato il “nodo” teorico lasciato aperto da Marx ed Engels, occultato dalla rivoluzione russa (Lenin scrive Stato e rivoluzione, e poi … fa tutt’altro) e condotto in direzione contraria dall’Urss (lo Stato-partito piú possente mai prima esistito, che comandava politica, società, economia, morale, insomma tutto, che conduceva la «crescita» denominandola «socialismo», mentre era solo un «socialismo reale» o ««socialismo di Stato», ossia un’imitazione a tappe forzate della «crescita» capitalistica). E tali “marxisti” vedono sempre il «socialismo» come «di Stato», scambiandolo volentieri con l’intervento socio-economico diretto da parte dello Stato, cioè quanto si è denominato «keynesismo» e «politiche keynesiane». Vale a dire che si collocano pro Stato esistente (capitalistico-liberale) e sua collocazione nell’Ue; se criticano Ue-euro, però non puntano a distruzione dell’Ue e abolizione dell’euro, ma, in realtà e al di là di proclami altisonanti, a loro “profonde riforme”; si situano, volenti o nolenti, sempre nel liberalismo (Keynes era esplicitamente liberale e propugnava l’intervento statale per la salvaguardia e mantenimento del capitalismo). Non possono, quindi, accogliere ciò che è in corso in Catalogna e che emerge, in forme varie, in Italia e in Europa, al piú restano “tiepidi”, ma, in sostanza, lo trovano fuorviante. Come diceva Henri Lefebvre: «i marxisti sono i peggiori nemici di Marx». Che invece va assunto come componente della fattiva comprensione del presente, compresi i “nodi” lasciati aperti e irrisolti.

MM

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