«Democrazia!», tutti si riempiono la bocca con questa parola: “la nostra democrazia”, “il gioco politico democratico”, “la nuova legge elettorale democratica”, “la governabilità democratica”, e cosí via. E tutti ne recitano l’atto di fede: politici di professione, partiti al seguito, addetti a stampa e tv, “conduttori”, “opinionisti”, “esperti”, “comunicatori” vari, nonché banchieri, finanzieri, alti burocrati …
Che cos’è per costoro la democrazia?
Che ogni tot anni “si va a votare” – e i capi-partito designano i candidati, i partiti fanno le campagne elettorali, dei «rappresentanti» che vengono eletti. Che c’è il parlamento di designati-eletti (quello centrale, inoltre quelli regionali e locali) – dove poi “è affar loro: gioco delle maggioranze che reggono il governo e delle minoranze che pongono l’opposizione (quando la situazione è “normale”, perché negli ultimi anni i governi vengono fatti e disfatti “in conto proprio”, su «larghe» e «piccole intese» fra tutti, e con opposizioni per modo di dire). Che c’è la par condicio – cioè vi sono un po’ di “quelli” e un po’ di “quegli altri” nei dibattiti, “approfondimenti”, “inchieste”, talk-show in tv.
E che cos’è per la “gente”?
Certo, nella testa della “gente” è stata inculcata l’idea che cosí “siamo in democrazia”. Il che significa che “tutte le opinioni vanno rispettate”, che si sta sentire (piú o meno distrattamente) cosa dicono questo o quello o quell’altro (e si viene fatti contenti quando, ogni tanto, c’è qualche mestierante che “gliene canta quattro”, a “lorsignori”), e, appunto, che ogni tanto “si va a votare” (ma solo quando è consentito, perché negli ultimi tempi anche votare è detto un “disastro per il paese”). Per il resto, la “gente” sa e dà come scontato che … “ci sono loro” (i «rappresentanti» e politici di professione) “a governare”, cioè a gestire il potere statale, quindi a decidere, a fare, o non fare, “le cose”, e a farle come pare a loro.
È questa la democrazia?
No, non lo è: questa non è la democrazia. E le critiche a questo «stato di cose» sono abbastanza diffuse, piú o meno consapevoli, piú o meno inespresse, oppure esplicite, che siano. Ma vengono attaccate, usando parole come «antipolitica» e «populismo», fino a «eversione», «sovversione», e consimili epiteti. E le parole sono importanti, perché servono a “mettere in forma” il pensiero. Perciò bisogna capire che cosa si vuole indicare, suscitare, indurre con queste parole. Dunque:
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martellare con l’«antipolitica» significa voler relegare chi è contro questa politica nella schiera di chi è contro ogni politica per dare a intendere che chi è contro sarebbe contro la democrazia.
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rimbombare con il «populismo» (proseguendo nell’ormai antica falsificazione del termine), significa solo voler discreditare chi dice che il popolo è posto nella condizione di sudditi da comandare e spremere per dare a intendere che chi è «populista» sarebbe contro la democrazia.
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Ripetere che è «eversione» e «sovversione» volere un “sistema” diverso dalla (cosiddetta) democrazia vigente e dalla politica (detta) democratica attuale, con la sudditanza che comportano, significa solo affermare che questo è il solo “sistema” valido e questa è la sola politica possibile per dare a intendere che chi è contro, e vuole tutt’altro, sarebbe contro la democrazia.
Si tratta di inganni assodati, di vecchi imbrogli, tradotti nelle parole indicate: balle, mistificazione continuativa. La (cosiddetta) democrazia vigente non è per niente la democrazia: non è altro che il “sistema” liberale, che, per affermare e preservare il potere (politico, economico, sociale) dell’insieme dei «dominanti», vuole avere, continuare ad avere, e controllare, il consenso della popolazione. Perciò prevede dibattiti, partiti, tendenze varie, etc., e l’elezione periodica di «rappresentanti», con cui viene formalizzata e legalizzata la «delega» alla gestione del potere.
Certo, il “sistema” liberale è diverso dai regimi apertamente dittatoriali, autoritari, militari, dove non si ha neanche la formalità di tale «delega» (se non con qualche plebiscito di tanto in tanto, a voto controllato e consenso costretto), dove il potere statale è esplicitamente in mano a un “capo” con il gruppo di contorno e i suoi seguiti, dove sono spesso estese oppressione aperta e repressione generalizzata e infatti nei paesi di tali regimi si determina e diffonde la spinta alla «liberalizzazione» (e all’occasione viene anche accortamente utilizzata da potenze estere), ossia ad andare ad attuare il “sistema” liberale.
Per il resto, dove tale “sistema” si è affermato da tempo, sotto la denominazione di «democrazia» – come nei paesi (detti) «avanzati», come da noi –, il “sistema” liberale comporta, ribadisce e perpetua:
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che vi sia la «classe politica» (politici di professione e aspiranti tali), articolata in diversi “gruppi” (fazioni e frazioni), collegati ai diversi settori dell’oligarchia economica e sociale – i pochi, rispetto alla popolazione, che comandano sul piano economico e hanno la preminenza sul piano sociale (e chi sono? Quel meno del 10% della popolazione che detiene il 50% delle risorse e ricchezze del paese, lasciando il resto al piú del 90% della restante. E sono, in particolare, quel 4% che, da sé solo, detiene il 36% delle risorse e ricchezze);
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che vi sia lo Stato, gestito dalla «classe politica», strutturato e articolato in apparati burocratici (dal livello centrale a quello regionale e locale) e su forze militari organizzate (monopolio della violenza, a uso interno ed esterno), e che imponga (almeno all’interno, per quanto riguarda l’Italia) il comando proprio e dell’oligarchia dominante (di cui è componente la stessa «classe politica», e di cui fa parte l’alta burocrazia statale) sul popolo, sulla società, sul paese;
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che l’economia vigente, fondata sulla ricchezza astratta che mira solo ad accrescersi, e la cui proprietà–possesso–controllo è in mano a pochi (appunto, l’oligarchia), sia sostenuta, supportata a ogni costo, imposta come unica possibile – ed è questa l’altra “gamba” dello «stato di cose presente», insieme a quella costituita dallo Stato stesso;
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che esistano i partiti, i quali fanno capo ai diversi “gruppi” della «classe politica» stessa, servono a cooptare nuovi “addetti”, a sostenere le cordate e catene di interessi e interessati, le schiere di persone “in lista d’attesa”, a condurre l’accaparramento spartitorio di cariche e prebende, a tenere insieme tifosi, fans, illusi, e a servirsene per ottenere consensi e avere i voti;
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che sia sempre maggiore il ruolo dei media (stampa e tv, ormai molto integrate, con tanto di “conduttori”, “esperti”, opinionisti, “comunicatori”, etc.), i quali, se pur si differenziano nella connessione a questo o quel comparto della «classe politica» e partito al seguito, si compongono, nel loro insieme, nella funzione di condizionare e manipolare la testa della “gente”.
Ecco che cos’è la (cosiddetta) democrazia vigente: non c’è nessuna democrazia, ma solo il “sistema” liberale che, tramite la struttura organizzata dello Stato e la struttura dell’economia, serve ad affermare, mantenere ed estendere – in maniera piú duttile, accorta ed efficace delle aperte dittature – il potere di “chi ce l’ha”: al di là dei singoli personaggi, i quali possono variare e in parte variano, ma in quanto classi, strati, ceti, dominanti sul popolo e sul paese.
MM