La Grecia ha onorato il debito di 460 milioni di € con il Fondo monetario: i media (italiani e non) hanno sottolineato che le cancellerie europee, i cosiddetti «mercati», le «istituzioni» tutte, hanno tirato un sospiro di sollievo. Però incombono 360 milioni di € ai privati per la scadenza dei Bot a breve; sempre per i Bot, 1,4 miliardi di € il 14 aprile; il 17 aprile, 1 miliardo di €; il 5 maggio, 200 milioni di € al Fmi e, il 12 maggio, altri 763 milioni di € (A. M. Merlo, «il manifesto», 09.04.2015). Il 24 febbraio erano stati concessi 4 mesi in piú del piano di «salvataggio» ad Atene, che, in cambio, era stata costretta a concessioni sulle «riforme», per l’intransigenza tedesca a dilazionare di 6 mesi i rimborsi. Ma cosí non si andrà lontano, dichiaravano due esponenti del governo greco:
se i gran sacerdoti dell’eurozona non accetteranno in tempi ravvicinati il piano di riforme proposto da Varoufakis e se non verrà versata almeno una parte di quei 7,2 miliardi, [la Grecia sarebbe stata costretta a sospendere i pagamenti del debito – D. Deliolanes, «il manifesto», 07.04.2015)].
Tsipras si era espresso in modo analogo con Angela Merkel tempo fa: mancavano i soldi per i dipendenti pubblici, che, in mancanza di liquidità, avrebbero avuto la precedenza. Nel suo viaggio a Washington, Varoufakis ha sottolineato la criticità della fase: le scadenze (piú di 12 miliardi di €) sono concentrate tra aprile e luglio; piú in là, la Grecia si sarebbe destreggiata meglio per la politica economica, anche in considerazione che gli impegni con l’Europa si esauriscono con i 7,2 miliardi di €, mentre il debito con il Fmi durerà ancora un anno, per altri 19 miliardi di €. Secondo Merlo, Christine Lagarde si sarebbe mostrata piú disponibile e pragmatica dei burocrati di Bruxelles:
l’incertezza non è nell’interesse della Grecia [… e] una cooperazione effettiva è nell’interesse di tutti.
“L’importante è che paghino, vediamo se lo fanno”. E poi l’esempio trascina: se la Grecia dovesse abbandonare l’euro e rivolgersi altrove, qualcuno potrebbe imitarla. Ma i “falchi” europei non sentono ragione e insistono perché Syriza cambi programma politico: «riforma» del mercato del lavoro e delle pensioni, cioè tagli e liberalizzazioni, secondo il programma imposto al resto d’Europa.
La Merkel avrebbe suggerito a Tsipras di pagare il debito con i depositi delle casse pensionistiche e delle autonomie locali: prima di un qualsiasi eventuale accordo le casse greche vanno spremute fino all’ultima goccia. Tuttavia, siccome le conseguenze di una sospensione dei pagamenti potrebbe avere esiti non trascurabili non solo per la Grecia ma per tutta l’eurozona,
l’ideale è tenere il cappio stretto ma non tanto da strangolare […]. Un’asfissia controllata, che permette di vivere ma non di muoversi. In questo modo si prolunga l’emorragia dei depositi bancari e la paralisi dell’economia reale, mentre si scoraggia ogni investimento (D. Deliolanes, loc. cit.).
L’obiettivo sarebbe quello di logorare il governo di coalizione, che per ora godrebbe della fiducia e sostegno dell’opinione pubblica, ma può perderli con il protrarsi dell’attuale situazione. A un governo delegittimato, assieme a un terzo del debito verrebbe imposto un memorandum di austerità. In questo quadro il «Financial Times» (organo della City) avrebbe proposto alla Grecia di cambiare coalizione di governo, estromettendo i «Greci indipendenti» per allearsi con il Pasok e gli oligarchi di To Potami. Nel frangente, la carta piú forte di Varoufakis è l’impegno del governo a combattere l’evasione fiscale degli oligarchi: il ministro Pappas ha già imposto alle tv private di pagare gli oltre 24 milioni di € di imposte per le frequenze pubbliche, dal 2011 a oggi – tv in mano all’oligarchia economica, che ha levato vibrate proteste. Chissà se i liberisti di Bruxelles hanno apprezzato l’intenzione, date le “affinità elettive”, e di portafoglio, con i magnati greci, che, ci si può scommetterci, avranno versato belle somme nei «paradisi fiscali», anche europei (Lussemburgo, Svizzera, Isole del canale e forse – perché no? – anche San Marino).
A trattative con l’Ue aperte, Tsipras vola a Mosca: il momento è difficile, le casse si stanno svuotando. In questo contesto ha notevole importanza l’incontro con Putin. Secondo P. Nerantzis («il manifesto», 08.07.2015) nell’incontro non si parla di aiuti economici, ma piuttosto di riallacciare i rapporti tra i due paesi. Del resto, già Karamanlis, fondatore di «Nea Dimokratia», aveva cercato di inaugurare una politica di alleanze multipolari; da allora i rapporti con Mosca sarebbero continuati, a prescindere dal “colore” dei vari governi. Il che era visto con sospetto dagli Usa e dagli altri Stati europei: le pressioni internazionali (e interne) non si erano fatte attendere, finché, con Samaras (e la Troika) è subentrata la resa incondizionata alle pressioni. Ora perfino il socialista Schulz ha ammonito Tsipras, riferendosi a regole vigenti nell’Ue per i rapporti con Mosca. Berlino vorrebbe l’esclusiva dei rapporti con Putin, e Kirchbaum, presidente della commissione per gli affari europei del Bundestag, avrebbe affermato
chi vuole un aiuto europeo deve orientarsi a Bruxelles e non a Mosca.
Perfino Washington pare aver dato segnali di preoccupazione. Tsipras ha cercato di tranquillizzare tutti, ma non pare intenzionato a far marcia indietro: rafforzare i rapporti bilaterali serve a entrambi i paesi – e afferma:
è importante collaborare e aiutarci a vicenda, visto che la Grecia può diventare l’anello di annessione tra l’Occidente e la Russia. [E il 9 aprile Deliolanes sottolinea una significativa frase di Tsipras:] Non siamo una colonia di debito.
La Grecia rivendica la propria sovranità e diritto di promuovere una politica estera «multilaterale» e «multidimensionale», in particolare con la Russia, con cui ha «profonde relazioni culturali, religiose e spirituali», oltre alla «comune lotta contro il fascismo» di 70 anni fa. E la Grecia vuole sfruttare la sua posizione strategica nel Mediterraneo orientale. Non una rottura con l’Ue, né con la Nato, che neppure Putin auspicherebbe (almeno per ora, data la fase difficoltà che la Russia sta attraversando, anche, ma non solo, a causa delle sanzioni): Tsipras porterebbe avanti il tentativo di costruire un «tramite» tra Russia e resto dell’Europa, dando a quest’ultima il ruolo di interlocutore privilegiato di Mosca, lasciando perdere le isterie atlantiche.
Putin, di rimando, ha affermato che Cipro deve risolvere i propri problemi «senza interferenze esterne» (Turchia) e ha assicurato una maggior cooperazione economica con Atene. E la Grecia parteciperà a «Turkish Stream» con un proprio condotto: il gas russo arriverà cosí dalla Turchia in Macedonia e quindi, attraverso la Serbia, in Ungheria, alleata di Putin. Contemporaneamente il ministro greco degli Esteri firma analoga dichiarazione di intenti a Budapest. La collaborazione energetica dovrebbe allargarsi ulteriormente, perché «Gazprom» è interessata alle riserve sottomarine nello Ionio e a sud di Creta («Zona economica esclusiva» greca). Atene offre inoltre alla Russia alcune infrastrutture in via di privatizzazione: non una svendita a multinazionali legate agli oligarchi greci (il modello Samaras), ma una joint venture con golden share[1] per la Grecia. Mosca pare interessata anche al porto di Salonicco, cioè l’ingresso ai Balcani, nonché alla rete ferroviaria greca (benché disastrata), magari associandosi alla Cina. «Non siamo mendicanti», avrebbe detto Tsipras.
Anche per la questione ucraina Tsipras avrebbe mostrato un interesse specifico, ricordando a Putin – il quale afferma di voler rispettare gli accordi di Minsk e di risolvere la crisi interna al paese attraverso un negoziato – che in quell’area vi sono centinaia di migliaia di «cittadini ucraini di origine greca». Tsipras si è dichiarato, inoltre, contrario alle sanzioni europee (da riconfermare a luglio, previa l’unanimità dei votanti), e Putin, da parte sua, starebbe per togliere l’embargo alle esportazioni agroalimentari dalla Grecia (oltre che da Cipro e dall’Ungheria).
All’indomani della visita a Mosca i commenti dei media erano quasi tutti compiaciuti: “parole e convenevoli, ma soldi niente”. Cosí Tsipras, recatosi in Russia come un accattone, sarebbe stato costretto a rinsavire, riportando nei ranghi la linea avventurista di Syriza. Il tutto servito – nella prassi di entusiasta e ottuso allineamento filoatlantico – con toni giubilanti appena malamente mascherati. Scriveva Dinucci alla vigilia dell’incontro Tsipras-Putin:
i temi ufficiali, nel colloquio a Mosca, sono quelli del commercio e dell’energia, tra cui la possibilità che la Grecia diventi l’hub europeo del nuovo gasdotto, sostitutivo del South Stream bloccato dalla Bulgaria sotto pressione Usa, che attraverso la Turchia porterà il gas russo alle soglie dell’Ue.
Il giornalista insiste però su come, il 19-20 marzo, Tsipras, al suo primo vertice europeo, sostenesse ufficialmente che «la nuova architettura della sicurezza europea deve includere la Russia». Analoghe le dichiarazioni al presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e all’Alto commissario per gli Affari esteri e la Sicurezza comune, la Mogherini: cosí l’agenzia russa Tass del 31marzo.
A conferma di tale posizione Tsipras sarà di nuovo a Mosca il 9 maggio per il 70° anniversario della vittoria sulla Germania nazista, celebrazione boicottata dalla maggioranza dei leader occidentali (a partire da Obama, Merkel e Cameron). Ci sarà invece il presidente cinese Xi, con una rappresentanza delle forze armate cinesi, che sfilerà nella Piazza Rossa con quelle russe a simboleggiare la sempre piú stretta alleanza tra i due paesi. Il presidente Putin, a sua volta, sarà in settembre a Pechino, per celebrare il 70° della vittoria sul Giappone militarista [e membro delle forze dell’Asse, nella II° Guerra mondiale, n. d. r.]. Avvicinandosi alla Russia la Grecia di Tsipras si avvicina quindi di fatto anche alla Cina e alla nuova area economica euro-asiatica, che sta nascendo sulla base della banca d’investimenti per le infrastrutture asiatiche creata da Pechino, cui ha aderito la Russia insieme a circa altri 40 paesi. Dagli organismi finanziari di quest’area e anche da quelli del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) – che mirano a soppiantare la Banca mondiale e il Fmi dominati dagli Usa e dalle maggiori potenze occidentali – la Grecia potrebbe ricevere i mezzi per sottrarsi alla stretta soffocante di Ue, Bce, Fmi.
Questo, anche perché la Cina vuole fare del Pireo un hub di primaria importanza della sua rete commerciale, prosegue Dinucci. Secondo «The Independent» (3 aprile), il governo greco è pronto a nazionalizzare le banche e creare una nuova moneta: uscita dall’euro e, se costretto, anche dall’Ue. Entra qui in gioco – continua l’autore – un altro fattore: l’appartenenza della Grecia alla Nato.
Una Grecia amica di Mosca potrebbe paralizzare la capacità della Nato di reagire all’aggressione russa, avverte Zbigniew Brzezinski [sinistramente noto come una delle anime nere della politica Usa, n. d. r.] (Afp, 25 marzo). Parole minacciose da non sottovalutare, dato che Brzezinski è stato […] il consigliere strategico della Casa Bianca, con cui è ancora in stretto contatto. Anche se il ministro della difesa Kammenos assicura che «il nuovo governo greco mantiene i suoi impegni nella Nato nonostante le sue relazioni politiche con la Russia», a Washington e a Bruxelles stanno sicuramente preparando un piano per impedire che la Grecia divenga un “anello debole” del nuovo fronteggiamento con la Russia e, di fatto, con la Cina. Il golpe del 1967, che portò al potere in Grecia i colonnelli, fu attuato in base al piano «Prometeo» della Nato. I tempi sono cambiati ma non gli interessi politici e strategici su cui si fonda la Nato. Nel frattempo divenuta piú esperta nei metodi di destabilizzazione interna (M. Dinucci, Grecia, il fattore N(ato), «il manifesto», 07.04.2015).
E Dinucci è persona informata e competente: non parla a caso, non indulge a catastrofismi, né a smanie complottistiche: scrive a ragion veduta.
All’indomani della vittoria elettorale, Tsipras, a cui mancava una piccola quota per formare il governo, sceglieva come alleato un partitino di destra. La cosa deluse un po’ di “anime belle” nostrane, per cui sarebbe stato auspicabile un accordo con il Pasok: la sua precedente politica non riscuoteva la fiducia dei greci, ma il Pasok si dice di sinistra e … basta la parola! Tsipras invece ha scelto l’alleanza con un partito sordo alle sirene della Troika e, soprattutto, non compromesso nelle precedenti legislature. Il che già deve aver suscitato disappunto e sospetto nei tanti che auspicavano che cambiasse tutto perché nulla cambiasse. Ha però riscosso l’apprezzamento di due eminenti figure: lo statunitense Noam Chomsky, da sempre critico della politica perseguita dagli Usa sul piano interno e internazionale, e Zvi Schuldiner. Quest’ultimo, intellettuale israeliano noto per la puntuale critica alla politica del proprio governo nei confronti della questione palestinese, si rammaricava di recente che la cosiddetta sedicente sinistra israeliana mancasse di leader in grado di contrastare efficacemente quelle scelte, invece di imbellettarle, costituendone di fatto una parvenza di rispettabilità sul piano internazionale: e sosteneva che ci voleva uno come Tsipras.
Le estenuanti trattative del governo greco con l’Ue e le «istituzioni» di riferimento – con perplessità a fronte di auspicate decisioni piú rapide e radicali – non derivano dalla consapevolezza dei rischi nell’attuale contingenza? Un gioco allo sfinimento, quello che Tsipras e il suo governo hanno messo in atto con una contrattazione indefessa e tenace, di stampo “levantino”, con il pregio di guadagnare tempo: che, nel caso, significa denaro, in senso proprio e figurato, e non solo per i possibili aiuti che possono arrivare; e che consolida anche il consenso della “propria gente”, che ha visto con favore la ripresa dei rapporti con Mosca e la determinazione di cui il governo ha dato prova. Inoltre, nei rapporti con Mosca – e con la Cina – il tempo pare giocare a suo favore.
Quale sarà l’atteggiamento dei “falchi” dell’Ue – “colombe”, per ora non se ne vedono – se la situazione dovesse precipitare? Potranno le cosiddette «democrazie occidentali» assistere impassibili, al di là di formali espressioni di rammarico? E che direbbero i paesi del Sud Europa – Italia in testa – che da una solidarietà attiva avrebbero da trarre giovamento? Dalla lettura miope che contraddistingue governi e oligarchie di riferimento, incapace di guardare oltre l’angusto contingente del proprio orticello – subalterna perfino nei comportamenti formali oltre che nelle valutazioni sostanziali -, non potremmo aspettarci niente di piú di qualche dichiarazione di estraneità, che non basterebbe a mascherare la complicità all’involuzione oscurantista e autoritaria, di cui l’intransigenza dimostrata (e forse non solo quella) avrebbe costituito l’agevolazione e la premessa. Il tutto con la melassa di espressioni di vicinanza ipocrite e di solidarietà pelosa. Auguriamoci che questo scenario sia solo un incubo da cui ci si possa svegliare in un’alba meno fosca.
CB
[1] Golden share: espressione che indica i poteri speciali di intervento spettanti allo Stato nell’attività delle società per azioni privatizzate.