Nea Polis

L’EPIDEMIA COSTRUITA DA BIG PHARMA

(Testo integrale http://vocidallestero.it/2016/12/03/lepidemia-costruita-da-big-pharma-le-diagnosi-sbagliate-di-adhd/)

Articolo dello «Scientific American»: secondo l’American Psychiatric Association, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è diagnosticato al 15% dei bambini, molti dei quali sono sotto un pesante regime farmacologico, con conseguenze per l’intera vita. È il tema centrale del libro di Alan Schwarz, ADHD Nation. Intervista di Gareth Cook, giornalista di «Mind Matters».

Cosa l’ha spinta a scrivere questo libro? Nel 2011, dopo aver passato 4 anni a far luce per il «New York Times» sui pericoli legati ai traumi nella National Football League e negli sport giovanili, cercavo un altro progetto. Avevo sentito che gli studenti della scuola superiore nel Westchester, da cui provengo, sniffavano Adderall prima dei S.A.T (Scholastic Assessment Test) per essere più concentrati durante l’esame. L’ho vista non come una storia di “psichiatria infantile”, e neppure di “abuso di farmaci”, ma della pressione scolastica e delle richieste da cui i nostri figli si sentono schiacciati. Quando ho esaminato la faccenda piú a fondo, è emerso che il nostro sistema nazionale per il trattamento dell’ADHD andava completamente alla cieca – in pratica, molti dottori prescrivevano il farmaco senza fare particolare attenzione al fatto che il bambino avesse realmente o no l’ADHD, e in seguito le pastiglie venivano comprate e vendute tra studenti che non avevano nessuna idea di ciò che stavano assumendo. Ho domandato su questo agli esperti ufficiali di ADHD e di psichiatria infantile, e hanno negato che ci fossero molte false diagnosi, che i ragazzi vendessero e comprassero pastiglie, che i tassi nazionali di diagnosi riportati dal C.D.C (Centers for Disease Control and Prevention) – in quel momento il 9,5% dei ragazzi tra i 4 e i 17 anni, ora l’11% e la percentuale è in crescita – fossero valide. Hanno negato che ci fosse qualcosa che non andava nel settore. Hanno negato troppo. Ho scritto una decina di articoli sul «New York Times» (2012-2014).

In che senso l’ADHD è “un’epidemia”, e com’è stata “costruita”? L’ADHD non è un’epidemia: le diagnosi errate di ADHD sono un’epidemia. Se il sistema funzionasse in un modo tale da stare attorno al 5% di diagnosi, come le indicazioni ufficiali dell’American Psychiatric Association suggeriscono, non saremmo in questo guaio. Ma circa il 15% dei bambini americani arrivano ai 18 anni con una diagnosi di ADHD, il 20% dei ragazzi, il 30% dei ragazzi al Sud. È tempo di capire che anche se non si può rimediare a tutto ciò, bisogna migliorare il sistema per fare la diagnosi ai bambini che rientrano nelle caratteristiche del disturbo e per aiutare gli altri bambini in altri modi. Molti bambini hanno problemi e necessitano di aiuto – ma molti derivano da traumi, ansia, discordie familiari, poco sonno o dalla dieta, bullismo scolastico o altro. Dobbiamo aiutarli. Ma dobbiamo essere più riflessivi, invece di diagnosticare loro un disturbo mentale serio a vita. Quanto a come questa epidemia è stata “costruita”, è chiaro che qualsiasi cosa l’ADHD sia, è stata ingrandita al di là delle proporzioni. Il disturbo può esistere senza che sia diagnosticato a milioni di bambini in più.

Quale il ruolo delle aziende farmaceutiche? Un ruolo prevedibile. Siamo una nazione pienamente capitalistica, particolarmente per quanto riguarda i medicinali, e l’industria farmaceutica ha grandi incentivi finanziari a produrre farmaci che rispondano ai bisogni medici. Il problema, nel mondo dell’ADHD e in altri – in particolare nell’ambito della psichiatria – è che le aziende si sono impadronite del campo. Hanno inglobato tutti i migliori ricercatori e medici, e hanno dato loro compensi a 5, 6, 7 zeri per condurre studi che vanno nella stessa direzione: “l’ADHD è molto più diffuso e pericoloso di quanto si può pensare, i farmaci funzionano meravigliosamente e senza quasi effetti collaterali, e se non diagnostichi e curi un bambino, sarà destinato alla sventura scolastica e sociale, a fare incidenti in auto, a contrarre malattie veneree e molto altro”. Questi risultati ottenuti negli studi erano fondati su una piccola base di verità, ma sono stati esagerati senza scrupoli per spaventare dottori e genitori, e spingerli a far diagnosi e dar farmaci ai bambini, senza riguardo al fatto che i loro problemi potrebbero derivare da qualcosa d’altro, di piú complicato, che meriterebbe molta più attenzione e cura di un’anfetamina al giorno. Tutto questo è stato orchestrato nell’alone di prestigio delle istituzioni accademiche – i medici che conducono gli studi insegnano ad Harvard, alla Johns Hopkins e a Berkeley, con minuscole postille in cui si dice che il loro lavoro è finanziato dai fabbricanti di farmaci e ricompensato da contratti di consulenza e divulgazione.

In seguito le aziende farmaceutiche hanno usato questi studi per confezionare messaggi pubblicitari che descrivono in maniera sbagliata ciò che il loro prodotto è, cosa cura, cosa fa. Non è vero che i farmaci per l’ADHD consentono ai ragazzi di prendere “i voti che si confanno alla loro intelligenza”, ciò che un’inserzione pubblicitaria dell’Adderall XR diceva ai genitori sulla rivista «People» [gli Stati Uniti sono l’unico paese nel mondo sviluppato a permettere pubblicità rivolta direttamente ai consumatori di farmaci venduti solo sotto controllo medico, come i medicinali per l’ADHD]. Un’altra pubblicità presentava una madre che, grazie ai farmaci per l’ADHD, diceva al figlio “sono orgogliosa di te”. Ma non c’è ripercussione per le aziende. Tutti i farmaci per l’ADHD – Adderall XR, Concerta, Vyvanse, Metadate o come si voglia chiamarlo – hanno ricevuto una condanna formale dalla «Food and drug administration (Fda) per pubblicità falsa e ingannevole».

Il dott. Keith Conners è una figura interessante. Che ritiene cosí intrigante nella sua storia? È l’Oppenheimer dell’ADHD. È stato Conners, nei primi anni ’60 alla Johns Hopkins, a condurre il primo trial clinico ufficiale sull’uso del Ritalin nella cura di bambini indisciplinati (gli studi furono finanziati dal produttore del Ritalin, la CIBA.) I risultati furono interessanti – questo farmaco aiutò alcuni bambini a imparare a seguire le regole e prestare attenzione in modo che ha trasformato le loro vite. E la la ricerca fu spinta verso ciò che allora era chiamato «Disfunzione neurologica minore o Reazione ipercinetica dell’infanzia», e furono i farmaci efficaci nel trattamento per ciò che noi ora chiamiamo ADHD. Conners diventò un campione in diagnosi e trattamento, curò bambini nella sua università e nella clinica con cui collaborava, sviluppò una scala di sintomi per aiutare altri clinici a identificare e trattare il disturbo, lavorò per quasi tutte le aziende farmaceutiche a condurre trial clinici su nuovi medicinali. Ma negli anni ’80, ’90 e 2000, era così focalizzato su questi fini che non prestò attenzione a come il settore stava andando fuori strada. Ora se ne è reso conto, e definisce le diagnosi sbagliate di ADHD «un disastro nazionale di proporzioni pericolose».

Lei descrive questo problema come una frittata fatta. Qual è la strada per il futuro? Non c’è modo di contenere le diagnosi di ADHD attorno al 5% che l’American Psychiatric Association definisce appropriato, o attorno al 7 o all’8% includendo le persone che riescono a convivere con il disturbo (nessun sistema che implica una diagnosi soggettiva, come nel caso dei disturbi psichiatrici, sarà mai perfetto). Ma all’11% di bambini e ragazzi che attualmente hanno trai i 6 e i 17 anni è già stato detto che hanno l’ADHD da un medico, e quando arriveranno all’età del college questa percentuale sarà del 15%. Fanno parte dello zeitgeist medico e culturale, perché i bambini che hanno avuto la diagnosi sono in così grande compagnia, e perché i farmaci li aiutano, in generale, a comportarsi meglio a casa e a scuola. Tutto ciò seduce genitori, dottori,  insegnanti e chiunque si preoccupi dal comportamento dei bambini. Io direi che qualsiasi cambiamento improvviso nel trattamento dell’ADHD, qualsiasi avversione nel permettere la diagnosi, nuocerebbe ai ragazzi che realmente rientrano nel disturbo. Ciò che dobbiamo fare è essere più riflessivi nelle diagnosi. Ai genitori e ai medici va spiegato che un bambino che ha difficoltà a stare attento o a stare seduto tranquillo a scuola, non ha, ipso facto, un disordine mentale permanente. È più complesso. Ci vuole del tempo per trovare quello che è meglio per ogni specifico bambino. Noi adulti dobbiamo andarci più piano. Ciò che noi vogliamo dai nostri figli innanzitutto dobbiamo richiederlo a noi stessi.

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