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MISSILE TURCO-USA CONTRO IL GASDOTTO – E RENZIANI FATTI E MISFATTI

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«Il missile […] lanciato dall’F-16 turco (ambedue made in Usa) non era diretto solo al caccia russo impegnato in Siria contro l’Isis, ma a un obiettivo ben piú importante: il Turkish Stream, il progettato gasdotto che porterebbe il gas russo in Turchia e, da qui, in Grecia e altri paesi della Ue.

Il Turkish Stream è la risposta di Mosca al siluramento, da parte di Washington, del Suoth Stream, il gasdotto che, aggirando l’Ucraina, avrebbe portato il gas russo fino a Tarvisio (Udine) e da qui nell’Ue, con grandi benefici per l’Italia anche in termini di occupazione. Il progetto, varato dalla russa Gazprom e dall’italiana Eni e poi allargato alla tedesca Wintershall e alla francese Edf, era già in fase avanzata di realizzazione (la Saipem dell’Eni aveva già un contratto da 2 miliardi di euro per la costruzione del gasdotto attraverso il Mar Nero) quando, dopo aver provocato la crisi ucraina, Washington lanciava quella che il New York Times definiva “una strategia aggressiva mirante a ridurre le forniture russe di gas all’Europa”.

Sotto pressione Usa, la Bulgaria bloccava nel dicembre 2014 i lavori del South Stream affossando il progetto. Contemporaneamente però, nonostante Mosca e Ankara fossero in campi opposti riguardo a Siria e Isis, la Gazprom firmava un accordo preliminare con la compagnia turca Botas per la realizzazione di un duplice gasdotto Russia-Turchia attraverso il Mar Nero.

IL 19 giugno Mosca e Atene firmavano un accordo preliminare sull’estensione del Turkish Stream (con una spesa di 2 miliardi di dollari a carico della Russia) fino alla Grecia, per farne la porta d’ingresso del nuovo gasdotto nell’Unione europea. Il 22 luglio Obama telefonava a Erdogan, chiedendo che la Turchia si ritirasse dal progetto. Il 16 novembre Mosca e Ankara annunciavano, invece, prossimi colloqui governativi per varare il Turkish Stream, con una portata superiore a quella del maggiore gasdotto attraverso l’Ucraina. Otto giorni dopo, l’abbattimento del caccia russo provocava il blocco, se non la cancellazione, del progetto. Sicuramente a Washington hanno brindato al nuovo successo. La Turchia, che importa dalla Russia il 55% del gas e il 30% del petrolio, viene invece danneggiata dalle sanzioni russe e rischia di perdere il grosso business del Turkish Stream. Chi allora in Turchia aveva interesse ad abbattere volutamente il caccia russo, sapendo quali sarebbero state le conseguenze? La frase di Erdogan – “vorremmo che non fosse successo, ma è successo, spero che una cosa del genere non accada piú” – implica uno scenario piú complesso di quello ufficiale. In Turchia ci sono importanti comandi, basi e radar Nato sotto comando Usa: l’ordine di abbattere il caccia russo è stato dato all’interno di tale quadro.

Qual è a questo punto la situazione “nella guerra dei gasdotti?”. Usa e Nato controllano il territorio ucraino da cui passano i gasdotti Usa-Ue, ma la Russia può fare oggi meno affidamento su di essi (la quantità di gas che trasportano è calata dal 90% al 40% dell’export russo di gas verso l’Europa) grazie a due corridoi alternativi. Il Nord Stream, a nord dell’Ucraina, porta il gas russo in Germania: la Gazprom ora lo vuole raddoppiare, ma il progetto è avversato nell’Ue dalla Polonia e altri governi dell’Est (legati piú a Washington che a Bruxelles). Il Blue Stream, gestito alla pari da Gazprom ed Eni, che a sud passa dalla Turchia, è per questo a rischio. L’Ue potrebbe importare molto gas a basso prezzo dall’Iran, con un gasdotto già progettato attraverso Iraq e Siria, ma il progetto è bloccato (non a caso) dalla guerra scatenata in questi paesi dalla strategia Usa-Nato» (Manlio Dinucci).

Pubblicato qualche settimana fa sul «manifesto», il pezzo evidenzia un crescendo di tensioni inquietante nel contesto internazionale. Nel frattempo assistiamo anche a un acuirsi delle tensioni tra Italia e Ue o, piú precisamente, tra Italia e Germania. Il nostro ineffabile presidente del consiglio rivendica a gran voce un ruolo adeguato al nostro paese: “non siamo secondi a nessuno, abbiamo dato una valanga di quattrini all’Ue e ora ci aspettiamo di vedere assecondate le nostre rivendicazioni per una maggiore flessibilità”. Anche perché, sic stantibus rebus, Renzi – volente o nolente – sarà costretto in un futuro non lontanissimo ad aumentare le tasse, con tanti saluti per le promesse annunciate, e il conseguente prevedibile calo del consenso elettorale. Incombono le elezioni di primavera (di cui si cerca di sminuire la portata) e, soprattutto, il referendumsulle riforme istituzionali che, se il buon giorno si vede dal mattino, si configura come la messa in atto di una pratica da “democrazia” plebiscitaria. E questo mentre l’affaire della banca Etruria con annessi e connessi arricchiti quotidianamente di nuove annotazioni non edificanti, allungano un’ombra inquietante sulla credibilità e futura tenuta del governo. Non resta che loslogan: “a noi non c’è alternativa”, cui i 5 stelle hanno dato un valido contributo e, con le ultime vicende, quasi un colpo di grazia.

È lecito porsi la domanda: dov’era Renzi nei due anni in cui è stato al governo, quando si muoveva di conserva, pardon!, sgambettava presso i pantaloni di Angela Merkel? Forse non sapeva che abbiamo versato fior di quattrini all’Ue, che la Germania (e la Francia) hanno sforato in passato i vincoli di bilancio consentiti e che numerosi altri paesi dell’Ue hanno sistemato i conti in casa propria prima di approvare il cosiddetto bail-in, che l’Italia, fino a prova contraria, non ha messo in discussione né preteso dilazioni in merito, quando sarebbe stata probabilmente in tempo per farlo? E quando la Grecia si trovava alla canna del gas non è stato forse dalla parte di chi le ha dato il colpo di grazia, a rimorchio di Angela Merkel? Perché Renzi non si è posto, né si pone, l’esigenza di procedere a una verifica serrata sulla possibilità di costruire un’alleanza tra i paesi del Sud Europa per portare avanti rivendicazioni sacrosante con una qualche serietà, nonché prospettiva di conseguire un sia pur modesto risultato?

Il Nostro non è né stupido né sprovveduto, sa quello che fa. E allora, come interpretare l’esplodere di questa improvvisa rivendicazione di un qualche barlume di sovranità italiana? L’ordine è venuto da Oltreatlantico, osservava di recente Buttafuoco a «Otto e mezzo», rara avis tra chi si affannava a interpretare il perché di tale atteggiamento battagliero di Renzi mentre perdeva di vista il contrassegno che lo caratterizza: quello di pronto e scattante asservimento, ribadito ancora una volta nei confronti degli Usa, mascherato dalla rivendicazione di una maggiore autonomia nazionale nei confronti della Germania, il cui possibile (e non del tutto improbabile) avvicinamento alla Russia costituisce lo spauracchio maggiore per l’Impero in declino, perché può rappresentare una potenza tale da rischiare, in prospettiva, di metterlo in ombra nel quadro geo-economico e geo-politico internazionale.

Altro che scatto di dignità! Un asservimento al patron ritenuto piú importante – in un’ottica strabica e di piccolo cabotaggio, del tutto priva di una visione strategica.

CB

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