Nea Polis

PERCHÉ LA NAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA BANCARIO È NECESSARIA, GIUSTA E PERFINO CONVENIENTE.

Piccolo problema: per farla come si deve ci vuole la Nuova Lira

(testo originale: http://programma101.org/nazionalizzare-leonardo-mazzei/)

La vicenda del Monte dei Paschi di Siena (Mps) è solo la punta dell’iceberg della crisi bancaria italiana. Ricapitoliamo. Da molto tempo le cose al Monte dei Paschi vanno malissimo. Negli ultimi cinque anni la banca ha dovuto effettuare due ricapitalizzazioni da 5 e 3 miliardi, convertendo inoltre in azioni 240 milioni dei Monti bond, mentre la capitalizzazione borsistica è scesa dai 6 miliardi del 30 giugno 2011 ai 600 milioni. In questi 5 anni sono stati bruciati 13 miliardi e 640 milioni, senza arrestare un’emorragia senza fine. E il valore delle azioni è calato dell’84%!

Il nodo di fondo di Mps si chiama «sofferenze». Nella scorsa estate il governo aveva annunciato l’ennesimo “salvataggio” di Mps, con un ambizioso piano di cessione delle «sofferenze» a un prezzo superiore a quello di mercato. Il mercato! – la mitica entità evocata come sola salvifica dal duo Renzi-Padoan. Non è chiaro se vi credessero davvero, ma secondo loro il mercato avrebbe risolto tutto, assorbendo e facendo perfino affari con le «sofferenze», e partecipando alla nuova ricapitalizzazione di altri 5 miliardi. Ma su quest’ultimo punto, mentre la partita delle «sofferenze» è ancora in sospeso, che tutto è andato a incagliarsi. Nella finanza internazionale non c’è grande interesse per Mps, mentre di quello della finanza nazionale è meglio non parlare.

Eccoci al capolinea. La “soluzione di mercato” non tiene, nonostante la conversione di parte delle obbligazioni subordinate in azioni avvenuta a fine novembre. Ecco che si torna a parlare dell’intervento dello Stato. Da parte nostra abbiamo sempre detto e scritto che senza intervento dello Stato non può esserci salvataggio del sistema bancario italiano, non del solo Mps. E i fatti ci hanno dato ragione, a partire dalla ricapitalizzazione delle due banche veneteattraverso il Fondo Atlante. Il governo Renzi non ha voluto (e non ce ne stupiamo) affrontare la questione nel modo dovuto. La politica è stata di muoversi in maniera diversa caso per caso, sempre inneggiando al mercato (ci mancherebbe!) mentre si interveniva con soldi e garanzie pubbliche in modo mascherato.

Andrà così anche nel caso Mps? Sí. Non si vuole il patatrac, e neppure l’applicazione del bail in (che pur il governo Renzi ha sottoscritto), ma ci si rifiuta di infrangere il tabù mercatista e di rompere con le regole euriste, che sono due facce della stessa medaglia. Torniamo così a queste ore, che parlano di un decreto legge che dovrebbe mettere in sicurezza (per l’ennesima volta!) Mps. I dettagli non si conoscono, ma la chiave non può che essere la certezza che lo Stato metterà il denaro mancante per arrivare ai mitici 5 miliardi di euro della nuova ricapitalizzazione.

Parallelamente sta andando avanti la trattativa con Bruxelles e Francoforte, con l’obiettivo di aggirare il bail in (che potrebbe toccare tutti gli obbligazionisti) con l’applicazione della regola del burden sharing (ripartizione degli oneri), che l’Europa può concedere trovandosi in presenza di un “rischio sistemico”. A differenza del bail in il burden sharing prevede la riduzione del valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate, non l’azzeramento. Il che significa che un possessore di uno di questi titoli (diffusi in circa 20-30.000 famiglie) rischia una perdita consistente (50%?) ma non l’azzeramento. Si capisce come mai Renzi abbia voluto posporre a dopo il 4 dicembre… Si dice anche che il decreto conterrebbe una garanzia su tutte le ricapitalizzazioni che dovranno avvenire a breve, a partire da quella gigantesca (18 miliardi?) prevista per Unicredit. Per far fronte a lo Stato metterebbe a disposizione una cifra di 15 miliardi di euro.

Più in generale, cosa dice questo passaggio della politica bancaria del governo italiano? Molte cose, non ultima l’improntitudine del tanto celebrato ministro dell’economia, ma soffermiamoci su un solo punto: le nazionalizzazioni. Questo tema è stato imposto dai fatti. Il problema è come verrà maneggiato, ma a quale visione della società verrà conformato. Nella testa dei neoliberisti al potere il discorso è semplice: si nazionalizza in casi estremi, per riprivatizzare appena ve ne saranno le condizioni. E la gestione degli istituti bancari non dovrà mutare: sarà privatistica, e guai a pensare di trasformare le banche in strumenti di politica economica rivolta agli interessi delle classi popolari.

Il 4.12 si è vinto sulla difesa della Costituzione, che all’art. 47 recita: «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito».

Come coordinare e controllare l’esercizio del credito con un sistema bancario di Società per azioni è un mistero. Com’è oscuro come possano applicarsi questi principi costituzionali avendo ceduto le attività di disciplina, coordinamento e controllo alla Bce. Ebbene, l’attuale dipanarsi della crisi delle banche italiane ci dà l’occasione di porre il tema: le banche italiane vanno salvate e al tempo stesso nazionalizzate. In questi 8 anni di crisi (dal 2008 in avanti), e limitandosi all’Europa, gli interventi statali sono stati giganteschi. In Germania, per tenere in piedi banche locali (Landesbank e Sparkasse), lo Stato ha investito 230 miliardi di euro, e altri 10 miliardi sono andati a rifinanziare Commerzbank. In Spagna l’intervento è stato di 40 miliardi, e potremmo ricordare i salvataggi in Irlanda, Austria e Portogallo. Fuori dall’area dell’euro, caso ancor più gigantesco della Gran Bretagna, dove le nazionalizzazioni sono costate 500 miliardi di sterline. E negli USA, secondo i dati della Fed, sono stati impiegati (dal 2008) 1.200 miliardi di dollari per tenere in piedi le maggiori banche.

È riconosciuto da tutti che quei salvataggi hanno avuto effetti benefici sull’economia, e addirittura un ritorno positivo per le casse dello Stato. In Italia si è invece preferito la stretta osservanza del dogma ordoliberista, ci si è i affidati al mercato e al rispetto di regole europee semplicemente suicide. Regole varate solo dopo che i paesi citati erano intervenuti con le masse di denaro di cui sopra.

La classe dirigente che ci ha portati sin qui non rivedrà i suoi dogmi, ma chi guarda ad un’alternativa politica e sociale ha il dovere di dire parole chiare sulla materia: la chiave è nazionalizzazione. Nazionalizzare è una necessità, lo dicono i fatti. Ma bisogna nazionalizzare con metodo e convinzione, non come extrema ratio impostaci dal mercato. Nazionalizzare è giusto: un settore decisivo come quello della finanza e del credito non va lasciato ai giochi della speculazione e dell’interesse privato. Ed è necessario se si vuole cambiare politica economica, visto che occorre anche la leva bancaria per una politica di piena occupazione, per la difesa dei redditi dei lavoratori, per uno sviluppo indirizzato al bene comune nel rispetto dei vincoli che la natura ci ha consegnato.

E gli esempi citati dimostrano come nazionalizzare è in genere conveniente anche dal punto di vista dei conti pubblici. Soprattutto nel caso italiano, dato che le cifre necessarie non sarebbero per niente esagerate, la nazionalizzazione sarebbe anche un investimento dal sicuro ritorno economico.

La cifra necessaria è valutata in 30/40 miliardi di euro. È grosso modo la stessa cifra che l’Italia risparmia attualmente sugli interessi del debito ogni anno grazie alla riduzione dei tassi. O è poco più di quanto spende il nostro paese per le spese militari in un anno. Non è affatto una cifra monstre, tanto piú che di un investimento si tratterebbe. Perché allora non si procede con decisione? Per due motivi, collegati tra loro: lo vieta il dogma neoliberista in cui si riconosce il 100% della classe dirigente (politica e non); non lo consentirebbe l’Ue, e meno che mai l’Unione monetaria e le sue regole, di quel dogma la più fedele custode.

A ulteriore dimostrazione che l’euro non è solo una moneta, bensí un preciso sistema di dominio. E liberarsene è necessario per affrontare i grandi problemi nazionali. Senza questa liberazione avremo solo una stagnazione infinita, e nessun problema verrà risolto, ma solo rimandato. Che è esattamente quello che il duo Renzi-Padoan ha fatto fino a oggi, sulle banche e non solo.

Leonardo Mazzei

(Immagine in evidenza By Gunnar Ries Amphibol (Own work (own photo)) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], via Wikimedia Commons)

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