Nea Polis

POTERE AL POPOLO, UN BREVE COMMENTO BASATO SUL “PROGRAMMA” E SU UN ARTICOLO DI UGO BOGHETTA.

Sono veramente dispiaciuto per tutti gli amici che, credendo ancora in un progetto politico di sinistra, si sono lanciati entusiasticamente sulla neonata formazione di Potere al Popolo. A me, purtroppo, la lettura del programma (https://poterealpopolo.org/potere-al-popolo/programma/) mi ha solo suscitato una gran tristezza mista a irritazione. Dato che amici e conoscenti che hanno deciso di appoggiare PaP sono vicini a togliermi il saluto, e si rifiutano di ascoltare le mie considerazioni (cosa che, guarda un po’, non mi sorprende per niente …), ho deciso di sintetizzare in poche righe le mie ragioni di dissenso. E per essere ancora piú sintetico inizio con il suggerire un intervento di Ugo Boghetta (https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/11424-ugo-boghetta-potere-al-popolo-deja-vu-o-quasi.html), definito da Sergio Cesaratto «un’impietosa analisi». Impietosa sí, ma ben centrata. Boghetta, infatti, individua i principali “limiti” del programma (che definisce «la solita lista della spesa in perfetto sinistrese»), iniziando dalla fondamentale questione Europa-Euro. Anche a parer mio si tratta del nodo centrale, dal quale discende tutto il resto. Non avendo molto da aggiungere alle acute critiche di Boghetta, mi limito a riportare una parte del suo articolo (i corsivi sono miei). Scrive Boghetta:

molto dipende dalla posizione sull’Unione Europea e sull’euro: “… la rottura dell’Unione dei Trattati”, da cui originano approccio e conseguenze. Vale a dire che non si pone il terreno nazionale, l’indipendenza, come luogo prioritario della rottura e del proprio agire.

Cosa vuole dire infatti questa frase? Se si volesse rompere l’Unione non si aggiungerebbe … dei Trattati. Dunque non si vuole rompere l’Unione ma modificarne le politiche, come se l’Unione, l’euro, i trattati, il capitalismo liberista fossero cose distinte. Una frase altisonante, dunque, per una politica moderata: il solito massimalismo.Altro, per esempio, sarebbe voler rompere l’Unione per un’Europa confederale senza, dunque, la moneta unica. Gira e rigira, il nodo è sempre quello. Ma l’euro è un tabú. Non a caso, l’unico trattato che non vogliono modificare è proprio Maastricht (ma non si dice), dove fu decisa l’istituzione della moneta unica e l’architettura che la sorregge: cioè l’Unione. Moneta unica che per costoro sembra essere una moneta internazionalista: unisce i popoli quando invece accade il contrario! È sotto gli occhi di tutti!! Tutto ciò, purtroppo, diseduca il popolo. Non fa comprendere, infatti, che l’assetto politico, monetario, istituzionale sono consustanziali come la Trinità.

[…] Quello che però bisogna aver chiaro è che la rottura dell’Unione-euro sono questioni strategiche. Senza la negazione della moneta unica, non c’è nessuna rottura dell’Unione e nessuna possibilità di un inizio di salvezza sociale, politica, democratica. Qui invece i termini sono rovesciati. Per non “tornare” agli Stati nazionali (inevitabilmente reazionari) si accetta il finto, ma funzionante, super-Stato unionista guidato dai governi francesi, tedesco e del capitale finanziario. Con ciò lasciando spazio alla destra. Cosí crescono i nuovi Tsipras. […]

Negato il superamento dell’Unione tutto il resto non torna. Come si fa infatti ad attuare la Costituzione senza la sovranità sulla moneta, il tasso di sconto, il cambio? […] L’acme lo si raggiunge quando si propone la nazionalizzazione della Banca d’Italia. Che senso ha nazionalizzare la Banca d’Italia senza una moneta di riferimento!? A che serve!? Piú in generale, come si fa a realizzare la lista della spesa senza controllare capitali, merci, persone: senza confini!? Si sarebbe preda del dumping altrui e della speculazione. Il fatto è che la realtà e la logica non contano. Contano di piú le zavorre ideologiche di questo aggregato.

Boghetta prosegue con altre interessanti considerazioni sul significato del nome della lista, sulle modalità di conquista del potere, sulla mancanza di ogni riferimento al socialismo, sui “giovani”, sul concetto di nascita “dal basso”, su ciò che manca (per esempio, l’insicurezza, l’analisi dei concreti comportamenti sociali e politici dei lavoratori). Vorrei aggiungere alla sua analisi altre due brevi considerazioni. Innanzitutto la questione immigrazione. Anche su questo tema, cosí cruciale in questa campagna elettorale, la (cosiddetta) “sinistra critica”, facendo la felicità dei liberali consapevoli, dimostra tutti i limiti del suo approccio ideologico. Nel punto n. 11 del programma si legge che si vuole superare la «gestione emergenziale», valorizzare «le professionalità coinvolte nell’accoglienza», abolire leggi, regolamenti, accordi bilaterali, etc. e, per ultimo, si invoca «[l’]approvazione dello ius soli e la sua estensione a chi è comunque cresciuto in Italia, una revisione estensiva della legge sulla cittadinanza, il diritto di voto a partire dalle elezioni amministrative per chi risiede stabilmente nel nostro paese».

In una recente intervista (https://www.liberopensiero.eu/2018/02/11/intervista-pap-viola-carofalo/), a Viola Carofalo, portavoce di PaP, è stata rivolta la seguente domanda: «l’immigrazione è al centro del vostro programma. Se PaP dovesse entrare in Parlamento, cosa cercherete di fare in merito?». Risposta: «La prima: corridoi umanitari. Vanno stabiliti immediatamente quando ci sono persone che fuggono da fame e guerra. In secondo luogo, ragionare sul sistema accoglienza pubblico e non emergenziale, perché lede i diritti e non è sostenibile sul piano economico. Le attuali politiche hanno dato vita a centri di accoglienza straordinari senza controlli e a scopo di lucro. L’accoglienza deve essere pianificata e resa pubblica, senza profitto sulle spalle delle persone, altrimenti si foraggiano le organizzazioni criminali». Che dire? Una lista di belle intenzioni (come, d’altra parte, tutto il resto del programma), ma che non tiene conto della realtà dei fatti. L’immigrazione, che sia reale o solo percepita poco importa, ha creato negli anni un sempre piú diffuso stato di malessere negli italiani. Sentimento che, nel diffondersi, ha dato forza e legittimità a quei matti che credono di risolvere la questione sparando a giro. Salvini non c’entra per niente. Se i matti sparano dipende dall’esistenza di una sorta di tacito consenso da parte di molti italiani stufi di essere presi in giro. Sí, presi in giro, perché mentre i nostri politici, da un lato, dichiarano da anni di volere risolvere la questione, dall’altro hanno sempre temporeggiato, ben sapendo che il flusso incontrollato di migranti è perfettamente funzionale agli interessi del capitale. Non c’è neanche bisogno di citare l’«esercito industriale di riserva» di Marx, basta alzare lo sguardo. Si fa entrare manodopera a basso prezzo e ricattabile mentre, nel contempo, si incita la fuoriuscita dei giovani laureati (a partire dall’esaltazione del programma Erasmus). È chiaro che c’è una situazione di emergenza da risolvere e non si può pensare che questi disgraziati muoiano in mare, ma una seria riflessione dovrebbe partire dal pensare a come bloccare o quantomeno rallentare il processo, non semplicemente a gestirlo nel modo migliore. Si punta ad agire sulle conseguenze e non si riflette sulle cause del fenomeno. E cosí, come per la questione Europa-Euro, questa bella lista di belle intenzioni finisce per essere la faccia buonista dell’ideologia liberale, quella faccia che ne rifiuta la violenza esplicita ma che, alla fine, ne condivide le premesse.

Altra questione, i diritti civili. Rinvio al p. 12 del programma, dove si parla di «parità di diritti, di salari, di accesso al mondo del lavoro a tutti i livelli e mansioni a prescindere dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale», «radicale rimessa in discussione dei ruoli maschile e femminile nella riproduzione sociale», «rottura del carattere monosessuato dello spazio pubblico e della politica», «legge contro l’omotransfobia»; «formazione che fornisca strumenti per decostruire il sessismo e educhi al riconoscimento della molteplicità delle differenze», «piena e reale libertà di scelta sulle proprie vite e i propri corpi […] l’accesso alla fecondazione assistita, anche eterologa, a prescindere dallo stato di famiglia», «i diritti e le aspirazioni di gay, lesbiche e trans, sia come individui che nella loro vita di coppia, con l’introduzione del matrimonio egualitario, del riconoscimento pieno dell’omogenitorialità a tutela dei genitori, dei figli e delle famiglie e con la ridefinizione dei criteri relativi all’adozione, consentendola anche a single e persone omosessuali, per riconoscere il desiderio di maternità e paternità di tutte e tutti». Su questo tema si potrebbero citare analisi interessanti e di grande acutezza, tra cui, per esempio, quella nel libro L’ultimo uomo di Pennetta, ma il discorso si farebbe troppo lungo. Mi limito in questa sede a un’unica considerazione, o meglio dire provocazione: il programma di PaP potrebbe essere sottoscritto parola per parola dalla Bonino, ovvero dalla piú coerente ed esplicita sostenitrice di un programma di società liberale.

Non voglio dubitare che PaP e suoi sostenitori si considerino realmente anti-capitalisti e desiderosi di mettersi dalla parte dei piú deboli. Ma è proprio questa la ragione della mia irritazione e del mio sconforto, cioè l’inconsapevolezza che il programma-manifesto di PaP completa il programma liberale, offrendo al capitale l’arma piú efficace, la “bella faccia” di giustificazione dell’esistente. Altro che socialismo! Il programma di PaP è effettivamente rivoluzionario, ma in senso opposto: offre l’ultimo passaggio della transizione alla piena affermazione e accettazione del modello di società liberale in Italia. Non pensavo, in vita mia, che sarei arrivato a condividere quanto ha scritto recentemente Bagnai nel suo blog: «in questo mondo credo che esista un unico modo di schierarsi a difesa di quella che Orwell chiamava la common decency, e la nostra Costituzione chiama “un’esistenza libera e dignitosa”: essere conservatore» (http://goofynomics.blogspot.it/2018/01/sul-conservatorismo.html).

FC

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