Nea Polis

SULL’ABOLIZIONE DEI VITALIZI.

 Il 26 luglio 2017 la Camera ha approvato l’abolizione dei vitalizi a larga maggioranza. A parte il fatto che l’uso del termine «vitalizio» è scorretto (i «vitalizi» sono stati aboliti con la riforma del 2012, sostituiti da una forma pensionistica basata sul sistema di calcolo contributivo: vedi http://leg16.camera.it/383?conoscerelacamera=4), è ancora tutto da vedere se deputati e senatori troveranno un accordo, ma supponiamo che alla fine la legge passi.

In aggiunta alle osservazioni precedentemente inviate (vedi La misura anti-vitalizi supporta un attentato), vorrei far notare che alle ragioni pratiche (attacco al sistema pensionistico in generale) si potrebbero affiancare motivazioni di ordine ideologico. Trovo, infatti, che tale misura sia del tutto coerente con l’ideologia liberale che plasma il pensiero unico dominante nel mondo occidentale.

Il «vitalizio» è previsto in Italia come in molte altre cosiddette «democrazie occidentali». Il nostro ordinamento l’art. 69 della Costituzione cosí recita: «I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge». Perché mai dedicare all’indennità dei parlamentari un articolo costituzionale? Perché si voleva garantire a tutti, ricchi e poveri (almeno questo sembra essere stato lo scopo originario), l’accesso alla carriera politica, svincolando l’attività parlamentare dalla necessità di avere un lavoro, oltre che da possibili ricatti o tentazioni esterne. Ma ciò che piú mi preme sottolineare è che nel vituperato «Secolo breve», almeno fino ai catastrofici anni ottanta, esisteva una qualche forma di rispetto per quel complesso di usi, costumi, tradizioni, che caratterizzano il nostro “essere italiani”, compreso il riconoscimento e il rispetto del lavoro svolto in relazione al ruolo ricoperto nella società. Dal semplice operaio all’insegnante al parlamentare, ognuno ricopriva un ruolo ben preciso nella compagine sociale. Il che non significa, si badi bene, assenza di conflittualità. Sarebbe ridicolo negarlo. Ma si trattava di una conflittualità vissuta in un dato contesto sociale e culturale: nella piccola Italia, oggi negata dalla retorica internazionalista, si lottava per i diritti civili, e per il lavoro in primis.

A partire dagli anni ottanta del Novecento, con la vittoria della “controriforma” reaganiana-tatcheriana, si è imposto il “credo liberale”, quantomeno sul piano ideologico. E cosí la parola d’ordine è diventata «libertà», in tutte le sue varie declinazioni: di mercato, di movimento, individuale, etc. Naturalmente la «libertà di mercato» è quella da cui discendono tutte le altre, dato che il mondo viene ridotto a un unico grande mercato di beni e servizi. Nell’arrogante pretesa di rimuovere qualsiasi contraddizione, di rappresentare il «migliore dei mondi possibili», il liberalismo ha imposto il movimento in un’unica direzione, cosicché ogni aspetto della vita politica e sociale può essere letto in questa chiave. Non esiste piú il cittadino, ma il consumatore. L’unica forma di lotta consentita è quella per i diritti civili, perché ciò che conta, che tu sia gay o quello che ti pare, è la “libertà” … di consumareUsi, costumi, tradizioni? Tutto ridotto al rango di farsa al servizio della “libertà” di vendere e consumare (tanto per fare un esempio, si rifletta sulla triste fine delle Feste dell’Unità). E cosí per il ruolo sociale: cancellato! Non conta “chi sei”, ma “quanto puoi consumare”, e, quindi, il reddito-ricchezza che possiedi. Analogo discorso per il parlamentare: vetusta figura del passato, può anche essere eliminato, tranne qualcuno (ne bastano pochi, al limite uno solo …) disposto a barattare il servilismo piú completo ai diktat del capitale con la cooptazione nel mondo dei pochi privilegiati.

Ebbene, se questa riflessione ha un senso, l’eliminazione del «vitalizio» ha una duplice valenza propositiva. Da un lato, fa gioco alla retorica della battaglia politica. Dall’altro, è coerente con lo svilimento di un ruolo, quello del parlamentare, analogo a quello di qualsiasi altro ruolo sociale. In una società privata della sua storia, dei suoi usi/costumi/tradizioni, il cittadino-consumatore – immerso nel mondo virtuale di internet alla ricerca di prodotti scontati o impegnato a scrivere messaggi al collega della scrivania accanto – vivrà di un “reddito di sussistenza”, potrà lottare per i diritti civili, avrà garantita la “libertà” (di consumare, naturalmente). Tutto il resto? È storia, muffa, nel migliore dei casi da riderci sopra, oppure frutto di una visione retrograda, bollata non di rado di fascismo, che osa negare le «magnifiche sorti e progressive», le “radiose prospettive”, proprio quelle che il visionario Orwell aveva perfettamente inquadrato molti anni or sono.

FC

Immagine in evidenza di Mark Hillary

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