Nea Polis

DALLA TELEKOM A IMU E BANKITALIA

Grazie a un (raro) lavoro di giornalismo di inchiesta, in una recente trasmissione tv è stato ampiamente documentato lo scempio perpetrato a seguito delle decisioni scellerate che vennero a suo tempo operate in ordine ai destini della Telekom e le cui conseguenze si sono protratte fino ai nostri giorni.

Come mai – infatti – la Telekom, un’azienda che anni fa non se la passava poi tanto male, sicuramente meglio di Telefonica, ora viene acquisita proprio da quest’ultima? La compagnia è indebitata – si dice: ed è vero , e anche parecchio. Ma come siamo arrivati a tanto? Semplice: a un certo momento è venuto in mente a qualcuno di privatizzarla, rinunciando anche a quella quota controllata dallo Stato che Francia e Germania, per esempio, hanno voluto accortamente mantenere.

D’Alema, allora in auge, non volle sentire ragioni e decise di vendere l’azienda, nonostante la contrarietà di Bernabè, a quel tempo a.d. di Telekom e con il quale pare fosse in atto uno scontro molto duro. Certo, l’orientamento di D’Alema non deve essere stato isolato, altrimenti non si spiegherebbe come sia potuta andare in porto un’operazione cosí improvvida; e anche maldestra. Già: chi furano infatti gli acquirenti e con quali mezzi venne comprata Telekom? Ma lo sappiamo, Colaninno e Gnutti che pagarono l’acquisto con gli utili realizzati dall’azienda stessa: vale a dire che comprarono Telekom con i soldi di Telekom, cioè con i soldi dei consumatori; altro che fare investimenti di miglioramento e ammodernamento, di potenziamento della rete con annessi e connessi (banda larga, etc.).

I “capitani coraggiosi” erano in realtà dei pitocchi, furbi però, e abili nel fiutare l’affare; D’Alema, loro sponsor, venne dipinto allora da qualcuno come un esponente di quella sinistra che vive il complesso di non essere “in” perché non si occupa di questioni finanziarie, non ha, insomma, le mani in pasta in quella materia. Bisognava dunque dimostrare che non si era secondi a nessuno, perbacco! Cosí ebbe avvio quella parabola discendente che si è protratta fino ai nostri giorni, con il progressivo spezzettamento dell’azienda e, talora, la delocalizzazione dei dipendenti, ceduti ai compratori come pezzi di corredo del bene acquisito. Va da sé che le bollette continuavano ad aumentare, mentre proporzionalmente peggiorava il servizio! Ma che importa, privato è bello!

Del resto, la spinta allo smantellamento pezzo per pezzo di quel che restava dell’Iri ci è venuta dall’Ue e su tutto è il continuo ritornello: “ce lo chiede l’Europa”.

È in discussione in questi giorni la proposta di legge per privatizzare la Banca d’Italia; provvedimento che è stato abbinato alla discussione sull’Imu.

Sull’Imu pare che ne godranno dell’abolizione anche le abitazioni cosiddette signorili e che, dunque, a beneficiarne di piú, saranno i piú ricchi; per quanto riguarda la privatizzazione della Banca d’Italia, la logica sembra essere quella di ingrassare letteralmente le banche: nel corso del dibattito parlamentare sarebbero stati respinti tutti gli emendamenti volti a “contenere in qualche modo il danno” la questione riguarda, in particolare, la cessione (nei fatti, tramite la privatizzazione) delle riserve auree. E le privatizzazione, coerenti e conseguenti, occorrono: ancora, “ce lo chiede l’Europa”.

E cosí dobbiamo sgambettare scodinzolanti come fedeli cagnolini da salotto a disposizione e comando dei lestofanti di turno esteri e interni e dei loro interessi esteri e interni.

CB

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