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«LA GRANDE BELLEZZA»

Il film di Sorrentino ha avuto una minoranza di detrattori e una maggioranza di ammiratori, poi esaltatori quando «La grande bellezza» ha ricevuto il premio Oscar. In verità, l’Oscar assomiglia un po’ al Nobel: ci si trova di tutto. Come hanno avuto il Nobel personaggi quali Friedmann (lodandone, dunque, l’implicito codazzo dei «Chicago boys») per l’economia (!), e Begin a suo tempo, e Obama, per la pace (!), cosí hanno ricevuto l’Oscar pesantissimi film Usa e anche «La vita è bella» di Benigni – apologo tanto patetico quanto assurdo, con ruffianata finale di arrivo del carrarmato Usa liberatore al lager di Auschwitz (fu la cavalleria russa, ma allora l’Oscar si faceva difficile …). Il che non significa che non ricevano Nobel e Oscar anche personaggi e opere adeguate. Tuttavia, in sé, tali premi non bastano a qualificare – peraltro l’Oscar ha un occhio attento al versante “commerciale” (quanto si vende un film nelle sale), e ciò qualifica piuttosto su “impatto di massa” ed “effetto di moda”. Detto questo contro l’ottusità corrente, per cui l’Oscar è valido e indiscutibile in assoluto. E l’hanno dimostrata i media italici, rimbombanti per diversi giorni di entusiasmi su film, regista, protagonista, cast, senza dire proprio nulla in merito – se non “bello, bello…”. E, mostrando per l’ennesima volta il cervello da acciuga, hanno inventato una strampalata rivalità di stile para-calcistico con i … francesi: “noi s’è fatto 13” (Oscar), “loro solo 12” (Oscar) … E che dire del sindaco di Roma, Marino? Ha dato la cittadinanza onoraria a un Sorrentino, grato ma stupito: “come! Ha girato a Roma il film che ha preso l’Oscar…”.

Ma veniamo a «La grande bellezza»: ne sono errate detrazione ed esaltazione. È, infatti, senz’altro vero che il film è ben “girato”, montato, costruito; ben recitato, dal protagonista retto da Servillo, al complesso degli altri attori; ben articolato in scene e rimandi, e citazioni (quelle di Fellini sono state registrate in genere, ma non vi sono solo queste), che però non racchiudono l’opera, la quale è “altra cosa” – ma lasciamo tali analisi a critici cinematografici e cinefili: sono già scorsi fiumi di inchiostro e di discorsi, è inutile aggiungerne ancora.

Rileviamo, piuttosto, quanto trasmette il film: immagini – sensazioni, evocazioni, comprensioni. E il film è senz’altro interessante. Interessante il protagonista, giornalista “arrivato”, nota “penna” e che “sa come si fa” – ma non crede ormai granché in ciò che fa. Interessante il milieu in cui il protagonista vive e si muove, fatto di personaggi “arrivati” e danarosi, il mondo romano dei V.i.p. & contorni e dintorni, con le feste a ripetizione sulle terrazze, con il passato ridotto a mera “curiosità” (vedi la visita notturna alla deserta magione principesca), con parte di personaggi anche in qualche misura “impegnati” politicamente o para-politicamente (parrebbe verso Pd e vicinanze), o anche sul piano “artistico” (con la ragazzina che “dà di balta” a comando forzato, e inguacchia di colori un lenzuolo, e tutti ammirati di tanta espressività artistica, anche vendibile) – e lo scetticismo su tali “impegni” trasuda. Interessante il rapporto con la religione, per cui la “vera credente” è una sorta di “aliena”, carica d’anni e di fede, che mangia poco o niente, dorme per terra, non parla nemmeno, utilizzata dalla Chiesa che la gestisce, mentre i preti si occupano di tutt’altro, e l’alto prelato soprattutto di ricette di cucina – per cui la religione, se non è conformismo, è completa estraniazione dall’esistenza, quindi è estraneità. E il film è interessante nei personaggi che si muovono attorno a questo mondo, dall’“artista” che fa «arte estrema» ferendosi, all’illusionista che fa sparire la giraffa, alla donna che fa la spogliarellista per pagarsi le cure (sotteso: per una malattia mortale, come probabile l’innominato cancro, che infine la “toglie di scena”) – e con costei il protagonista ha una relazione meno vacua, pur restando nella sua superficialità, attonita e pensosa, ma sempre tale.

In sostanza, che cosa ci suggerisce ed evoca «La grande bellezza»? Il mondo dei V.i.p. & contorni e dintorni ha poco senso, anzi non ce l’ha; continua per forza d’inerzia: non si sa fare altro. Perché continuare? Ma perché non continuare? Unico rifugio è il sogno della bellezza: piú che dell’oggi, del passato personale, lontano e perciò irraggiungibile, ma bellezza ferma e quindi presente nel ricordo.

Film interessante: non si può vivere in quel mondo e in quel modo, ma non si può né si deve, non si sa né si vuole, fare altro. Un neo-decadentismo, esposto ma nel contempo in qualche misura compiaciuto, un neo-nihilismo, sí, ma tutto comfort, e sostenuto dal sogno, dall’estetismo: “era bello!”, “può ancora essere bello!”.

Film molto aderente ai tempi e che, perciò, piace in questi tempi (con tanto di persone “comuni” che vi possono mettere “del loro”, immaginandosi qualche “critica” radicale, che vi è però inesistente) – del resto, il versante “commerciale” del premio Oscar non sbaglia. Film che si situa appieno realtà vigente – innestandosi sul mondo e “modo d’essere” dei V.i.p. & dintorni e contorni, che è “altro” da tutta l’altra “gente”, ma in cui tutti (o quasi, o molti) vivrebbero, se potessero. Film che corrobora questa realtà come unica possibile e comunque la sola esistente, assumendone il nihilismo confortevole, e dicendoci, in fondo e infine, che … be’, questo è quanto.

E perciò l’esaltazione è errata; anzi, di piú, è sospetta: non risulta né si evoca nessun’altra via possibile rispetto all’esistente – e non è per puro riconoscimento delle capacità o per mera fortuna che il film ha ricevuto l’Oscar. E perciò la detrazione è errata: il film esprime bene una componente dei nostri tempi – e che altro mai ci si poteva aspettare? Anche regista, attori e cast vivono nel mondo e “modo d’essere” dei V.i.p. & dintorni e contorni: ne fanno parte, ne sono parte.

MM

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