L’intelligence organizza negli Usa anche finti attacchi terroristici con disadattati, che poi si vanta di arrestare. Lo Stato di Israele – il piú colpito dal terrorismo tra i paesi «avanzati» – è visto come un antidoto al terrorismo. Una copertina di fine luglio del settimanale «Sette», con il mezzobusto del dj parigino David Guetta in tuta mimetica, titola a caratteri cubitali: Ma io non ho paura. Il terrore è parte della nostra vita, «è come se non fossimo liberi di essere felici». Però, se il terrore è «sentimento di intensa paura» (Encicl. Garzanti), essendo «parte della nostra vita» come può conciliarsi con il non avere paura? Non può. Si invita il gregge a ostentare la sua misera routine come resistenza. Paura e nemico servono alla disciplina: responsabilità e ordine = obbedienza. E alla paura subentra il falso antidoto: la paura di avere paura. Il timore della paura è proviene dal regno animale – dove la debolezza percepita è piú letale di quella reale – e affonda nell’istinto di sopravvivere agli altri: predatori e nemici, ieri; avvocati, superiori, colleghi, cosiddetti amici, oggi. E l’epiteto «debole» insinua inadeguatezza alla vita.
Nel mondo contemporaneo la competizione è nei fatti e nei principi. È imposta anche dove non dovrebbe. Le economie nazionali si strappano l’un l’altra risorse per procrastinare il collasso, la scarsità occupazionale crea guerre tra giovani e vecchi, alloctoni e autoctoni, dipendenti pubblici e privati, imprenditori e sottoposti, cittadini e politici, tutti a invocare l’impoverimento altrui nell’illusione di salvarsi sulle carcasse del prossimo. Crescono le paure di futuro, debiti, vecchiaia e malattia, impossibilità di sostenere i propri cari, di perdere la casa e lavoro, etc. Paure che servono a segnalare un pericolo, per esaminarlo ed evitarlo. Senza manipolazione il timore del terrorismo spingerebbe le popolazioni colpite a indagarne le cause e a non insistere con politiche che da vent’anni falcidiano libertà degli occidentali e vite dei mediorientali. La paura per la sicurezza economica produrrebbe una critica di ideologia e istituzioni. Chi rischia disoccupazione e indigenza vorrebbe piú tutele, chi dispera della pensione chiederebbe il senso di una finanza pubblica asservita ai ricchi, chi teme fallimento o licenziamento reclamerebbe protezione per le imprese, contro la politica che dà il mercato alle produzioni straniere. E si potrebbe decidere di non rispettare leggi dannose.
Nulla di ciò accade, perché la manipolazione esiste: è la paura della paura, fulcro della retorica per convincere le vittime a desiderare il proprio svantaggio.
Si presentano i pericoli certi di precarietà e desertificazione dei diritti come sfida per dimostrare il proprio valore e ambire a premi piú appaganti delle loffie tutele del passato. Le bombe diventano la sfida dei terroristi all’Occidente, il crollo dei salari e la moría delle imprese la sfida della globalizzazione, la crisi delle piccole-medie imprese la sfida dell’innovazione, la morte della democrazia la sfida dell’integrazione, l’aumento delle tasse e la soppressione dei servizi di base la sfida del risanamento, l’aumento delle spese energetiche, sanitarie e autostradali la sfida del mercato, l’attacco alla Costituzione e ogni riforma, pur criminale e demente, la sfida del cambiamento.
Maquillage semantico: se il cambiamento imposto “dall’alto” è una sfida, chi vi si sottrae “dal basso” è un vigliacco. I piú giovani che non accettano paghe da fame sono choosy e quelli che, accettate, dormono dai genitori per non dilapidarle, sono bamboccioni. Gli imprenditori che non investono hanno paura del futuro, i lavoratori che vogliono uno stipendio sicuro hanno paura di mettersi in gioco, se si proteggono dai licenziamenti temono il merito. Chi difende i diritti conquistati dai padri vuole vivere di rendita, chi dubita che la corruzione strombazzata dai giornali sia in cima ai problemi del paese ha qualcosa da nascondere, chi non vuole cedere la sovranità dei popoli alle lobby euroatlantiche si rinchiude nel proprio orticello.
Aggressione senza limiti e vergogna: insinua la malattia psichica di chi resiste. La «fobia» entra nel linguaggio, appiccicata ai critici dei «diritti (cosiddetti) civili» (omofobi) e della deportazione del Terzo Mondo in Europa (xenofobi) con morte per mare, sfruttamento, delinquenza, conflitto sociale. Sono malati che hanno paura del diverso: le loro previsioni non contano, neanche se sono vere.
E infine si “dimostra” che la sfida è difficile, non impossibile, e il premio vale il rischio, amplificando o inventando i rari casi di successo, suggerendo che chi perde incolpi se stesso, le opportunità non mancano per chi le merita e la rovina degli altri serve a elevarsi. Messaggio da lotteria: le autorità promuovono la ludopatia, chiedono sangue e diritti per un biglietto che non sarà mai estratto.
(testo integrale: http://ilpedante.org/post/