Nea Polis

L’AFFAIRE UNIPOL-SAI

L’affaire Unipol-Sai, salito agli onori della cronaca assieme all’affaire Carige, è stato, a sua volta, presto offuscato dai commenti e gossip della temperie elettorale, nonché dal succedersi di una serie di ruberie e malversazioni, che, a scadenza pressoché quotidiana, hanno infestato e infestano la scena politica italiana: come la vicenda dell’ex ministro Corrado Clini, il cui maggior impegno pare essere stato di rimpinguare il conto «Pesce», nome profetico, dato che il Nostro si è mosso come un pesce nell’acqua tra il ministero di cui era titolare e la banca svizzera dove aveva versato ingenti somme di denaro pubblico sul conto in questione; come la parabola dell’Expo e quella del Mose di Venezia, entrambe caratterizzate da un’enorme truffa che vede coinvolte, specie nel Mose, responsabilità diverse e non solo dell’imprenditoria, ma anche dello Stato ai piú alti livelli – su cui per il momento ci limiteremo a ripetere che tali vicende non si sottraggono alla sorte finora di tutte le «grandi opere»: un’abbuffata di pochi, condotta con trucchi, illegalità, complicità varie, che fanno slittare i costi a livelli astronomici, comunque molto superiori ai preventivi (come da copione).

Davvero un bell’inizio per il cosiddetto «semestre italiano», dove Renzi dovrebbe (condizionale d’obbligo) “fare la voce grossa” per ottenere qualche flessibilità delle scadenze imposte. Intanto, le agenzie di rating – le arpie che sappiamo – hanno emesso un verdetto negativo, che non ci giova e di cui non sarà facile sminuire l’importanza, anche perché gli investimenti esteri in Italia sono drasticamente diminuiti (si parla del 58% rispetto al 2007, anno precedente l’inizio della crisi), contro le speranze nostrane di ottenere l’agognato riconoscimento alle cosiddette «riforme», in corso d’opera pur con tempi alquanto slittati, e dunque l’allentamento della stretta finanziaria.

Venendo a Unipol-Sai, pare proprio che la banca “salvatrice” fosse invece da “salvare”: la fusione tra Unipol e Fonsai, che ha dato vita alla seconda compagnia assicuratrice italiana (dopo le Generali), sarebbe stata realizzata sopravvalutando Unipol, dunque su valori falsati. Pare, però, che a Milano il processo veda nel mirino soprattutto la Consob, in quanto Vegas, a capo dell’istituzione, non avrebbe vigilato sull’operazione, come sarebbe stato suo compito; anzi, avrebbe fatto di tutto per ostacolare quei funzionari che avevano espresso riserve – pesanti – sul valore dei titoli Unipol.

Anche Mediobanca avrebbe avuto un ruolo non secondario, quale regista dell’operazione nella figura dell’amministratore delegato Alberto Nagel, artefice del salvataggio di Fonsai, salvando Unipol e soprattutto se stesso, data la forte “esposizione” di entrambe le società nei confronti di Mediobanca. Un’offerta alternativa da parte di Palladio Finanziaria fu frenata dalla Consob, come il tentativo della francese Groupama, a cui fu chiesta un’Opa (Offerta pubblica di acquisto) e ne fu esentata Unipol, quale benemerita in un’operazione di salvataggio.

Leggendo il testo del decreto alla base del mandato di perquisizione del pm di Milano nei confronti dell’a.d. di Unipol-Fonsai, Carlo Cimbri, si evince (v. «Il Fatto Quotidiano», 28.05.2014) che

il processo per manipolazione del mercato contro il manager bolognese è destinato a diventare il processo alle autorità di vigilanza: in primo luogo la Consob di Giuseppe Vegas, che sovrintende ai mercati finanziari, e l’Ivass, il pezzo della Banca d’Italia di Ignazio Visco, che si occupa delle compagnie di assicurazione.

Consob e Ivass che avrebbero chiuso tutt’e due gli occhi … I traffici di Cimbri per portare Unipol all’acquisizione e poi fusione con Fonsai sarebbero iniziati dal 2012 e avrebbero comportato una serie di operazioni complesse, prolungatesi per un paio d’anni. Nel 2012 l’ex presidente dell’Ivass, Giancarlo Giannini, ha denunciato Ligresti – di cui era grande amico – per aver nascosto alla vigilanza le mene effettuate nella compagnia. Come mai? In realtà Giannini – che ambiva alla presidenza dell’Antitrust – puntava a garantirsi a tal fine l’appoggio di Ligresti presso Berlusconi. Però, vista la mala parata, si affrettò a denunciare l’amico, reo di non aver messo la vigilanza al corrente dei traffici posti in atto: excusatio non petita accusatio manifesta. Già, perché l’assunto sotteso alla “giustificazione” è quanto di piú ridicolo ci si possa aspettare, come dire che i ladri dovrebbero informare la polizia prima di fare una rapina. Intanto, Consob e Ivass si scambiano reciproche accuse, scaricando l’una sull’altra le responsabilità nella vicenda.

Questa, in estrema sintesi, l’esposizione dei fatti. Vanno aggiunti un aspetto – non del tutto chiaro e, per certi versi piuttosto, inquietante – e una considerazione, che è, in realtà, una presa d’atto, amara, in appendice alla questione. Poco chiaro e poco “rassicurante” – per usare un eufemismo – è lo scontro tra due procure, Milano e Torino, entrambe interessate alla vicenda, ma su basi molto diverse. Mentre, infatti, a Milano si chiamano in causa le responsabilità delle banche e delle autorità di vigilanza, a Torino si tende ad addebitare “il conto” a Ligresti & suoi menager. Ipotesi investigative contrapposte, che comportano addebiti diversi alle stesse persone da parte delle due procure – valga l’esempio (sempre riportato dal «Fatto») di Fulvio Gismondi, consulente di Fonsai, iscritto a Torino nel registro degli indagati, mentre si era recato spontaneamente alla procura di Milano, già nell’aprile 2012, per illustrare come venissero manipolati i conti al fine di procedere comunque alla fusione dei due gruppi; sicché, anche a Milano, costui ha finito per essere ascoltato non piú come teste, ma come indagato per reati connessi.

Interrogativo spontaneo: lo scontro tra le due procure è riconducibile a una mera smania di protagonismo, o nasconde “qualcos’altro”? Nessuno ne parla. Inoltre, gli aspri contrasti verificatisi all’interno della procura milanese hanno qualcosa a che fare con questa e/o analoghe vicende?

In attesa di risposte, che non saranno pronte, né, forse, esaurienti, va rilevato come i personaggi che ricoprono ruoli di vertice, implicati nelle vicende menzionate, ricompaiano spesso fino alla noia in ciascuna di esse, quasi dovessero prender parte a sfilate alle cui scadenze non possono rinunciare: come l’ex generale della Gdf, Emilio Spaziante, che non è però il solo in tanta allegra compagnia.

Di conseguenza, è lecito chiedersi se i destinatari delle «autorità di vigilanza» siano i “guardiani” per coloro che dovrebbero essere tutelati, oppure i ladri. Come spiegare altrimenti il ripetersi di questo «eterno ritorno» sulla scena politica? E, infine e soprattutto, fino a quando gli italiani sopporteranno di essere immersi in tale fango, e di pagarne – in soprappiú – un prezzo altissimo? Quando vi sarà uno scatto, nemmeno tanto di orgoglio, quanto almeno di spirito di sopravvivenza, che porti a superare il servilismo che consente il perpetuarsi di questo marciume?

 

cb

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