Tratto e rielaborato da
L. Gallino, Se Renzi si ispira a Schroeder e a Blair («la Repubblica», 28.06.2014)
Quanto ha detto Renzi il 2 luglio 2014 al parlamento europeo, per l’inizio del semestre a presidenza italiana dell’Ue, è dilagato in prima pagina dei (servili, ormai va da sé) giornali nostrani: lodi alla capacità dialettica e al confronto duro con i sostenitori dell’«austerità», Stato germanico in prima fila, appoggiato da quello olandese. Renzi sostiene che non si può contrastare la richiesta italiana di piú «flessibilità» pur nel «rispetto dei vincoli di bilancio»: proprio la Germania, nel 2003 – allora con presidenza italiana dell’Ue –, ha ricevuto non solo la dilazione, ma anche lo sforamento dei «vincoli». E giú il coro di osanna – “ora si fa sul serio”, “si cambia”, etc. – da tutti i media e dai partiti (quasi tutti – vedi 5S, Sel residua, Lega, Fd’I -, ma comunque dal loro “grosso”).
Renzi salverà l’Italia, batterà l’«austerità», alternerà sia diplomazia che durezza nell’Ue? E che cosa davvero intende fare? Illustrando le linee del semestre di presidenza italiana, ha detto chiaramente che vuole rifarsi alle misure varate a suo tempo da Schroeder:
la Germania di Schroeder nel 2003 ha scelto un pacchetto di riforme molto importanti, che oggi consentono a quel paese di essere piú degli altri fuori dalla crisi.
Peraltro, già giorni prima, a Bruxelles, Renzi aveva detto di ispirarsi al «manifesto» del 1999 dell’“accoppiata” Schroeder-Blair: «modernizzazione» della socialdemocrazia e dello «Stato sociale». Il che incombe (ulteriormente …) sul lavoro e sui diritti sociali acquisiti nel nostro paese. Infatti. il «manifesto» Schroeder-Blair – La strada in avanti per i socialdemocratici d’Europa – era intessuto di direttrici che sembravano stese dai nemici storici della socialdemocrazia, per i quali lo «Stato sociale» è da sempre stato un impaccio a crescita e abbondanza. In Germania, questo «manifesto» ha costituito la base dell’Agenda 2010, varata da Schroeder, come cancelliere, appunto nel 2003: un insieme di leggi, promulgate in qualche anno, che hanno causato i peggioramenti delle condizioni salariali e normative per milioni di lavoratori tedeschi e i tagli dello «Stato sociale» (in particolare, su sanità, pensioni e indennità di disoccupazione) mai prima attuati, dalla fondazione della Repubblica federale in poi.
Nel decennale dell’Agenda 2010 vi sono stati in Germania molti rapporti colmi di dati, che attestano come, rispetto al lavoro, gli esiti siano stati:
– forte aumento del precariato e dei lavoratori a «basso salario»;
– forte aumento dei lavoratori in affitto – da 300.000 del 2003 a 900.000 del 2012;
– crescita dei contratti a tempo determinato (in genere breve) – oltre la metà degli occupati fino a 35 anni;
– 8 milioni, 1/4 degli occupati, nel 2012 i lavoratori a «basso salario» – e «basso salario» (Niedriglohn) è 2/3 della media della paga oraria lorda: nel 2013, poco piú di € 6 netti nella Germania ex Ovest, circa € 2 nella Germania ex Est.
– forte aumento della disuguaglianza di reddito e condizioni di vita – all’aumento dei «basso salari» fa da pendant l’aumento delle retribuzioni elevate;
– concentrazione in poche migliaia di famiglie delle ricchezze, crescita anch’essa esponenziale – la Germania è fra i paesi piú disuguali del mondo;
– non solo riduzione dell’indennità di disoccupazione, ma aumento delle difficoltà per averla – con tanto di coazione ad accettare qualsiasi altra occupazione offerta, pur inferiore alla qualifica professionale, pur meno retribuita, pur lontana dalla residenza;
– aumento dei contributi dei lavoratori al sistema sanitario e riduzione di quelli delle imprese – e diminuzione di circa il 5% delle neo-pensioni, e di quasi il 7% quelle precedenti.
Questi i risultati delle “riforme” condotte da Schroeder, in base ai precetti del 1999. E Renzi ha un bel ribadire che hanno consentito i “successi” della Germania: a quel prezzo? E poi non c’entrano per nulla con i “successi” dello Stato germanico. Come indicano i dati “ufficiali”:
– l’occupazione totale, in numero di ore lavorate, non è aumentata dal 2000 e, rispetto ai primi anni novanta, è diminuita – nel 1991 il volume di ore di lavoro in Germania era di 60 miliardi; nel 2000 di 58 miliardi, e questo è rimasto nel 2012.
– Il numero degli occupati nel 2012, 41 milioni e mezzo, era gonfiato dall’aumento di lavoratori precari e a tempo parziale – lo stesso volume di lavoro diviso tra un maggior numero di lavoratori, che risultano tutti occupati, non distinguendo le statistiche tra chi è a 40 ore settimanali e chi a 15.
– Il rilancio tedesco è iniziato prima delle “riforme” di Schroeder – il suo motore primario è stato la stagnazione delle retribuzioni reali, imposta già alla fine degli anni novanta, in buon accordo con i sindacati, unita al forte aumento della produttività.
È questa la “dissociazione” su cui lo Stato germanico ha conquistato il primato dell’export sull’import – che ha toccato, negli ultimi tempi, i 200 miliardi annui.
A ogni modo, in fondo e infine, non importa granché se Renzi “si confonde” – e confonde, sostenuto dalla “grancassa” dei media – a porre nell’Agenda 2000 la “chiave” dei “successi” germanici. Importa tutt’altro. I richiami al «manifesto» di Schroeder-Blair e alle conseguenti “riforme”:
- rimandano al peggio delle politiche di «austerità» imposte ai popoli d’Europa dalla «Troika» di Bruxelles e dai loro stessi governi & Stati membri dell’Ue;
- mettono (ancora una volta!) in piena luce chi è Matteo Renzi e chi sono politici, e partiti, e media di supporto, prefigurando le politiche economiche e sociali che Renzi punta ad attuare in Italia – con il suo governo, i cui impegni sono già passati da 100 a 1.000 giorni.
CB