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MINISTRI E SOTTO-MINISTRI DI RENZI

DIMMI CON CHI VAI E TI DIRÒ CHI SEI

Chi è Padoan Pier Carlo o Giancarlo? Sul nome i quotidiani non si sono ancora messi d’accordo, come, peraltro, non c’è accordo sulla persona: chi lo saluta entusiasticamente, chi lo guarda con diffidenza, ma i piú lo considerano una garanzia. Garanzia di chi, per chi e che cosa?

Va chiarito che Padoan non è un ministro qualsiasi, uno dei tanti della rosa del governo. È il ministro dell’Economia e Finanze, dunque non è solo un ministro: Padoan è il ministro, è il primo violino dell’orchestra, anzi ne è il vero direttore, e Renzi se ne dovrà capacitare. Perché?

Padoan ha studiato alla «Sapienza», non si è formato cioè alla scuola “mercatista” della «Bocconi», come Mario Monti e questo potrebbe essere un punto a suo favore. Già professore alla «Sapienza», ha ricoperto fino a pochi giorni fa la carica di vicedirettore generale e di capo economista dell’Ocse, nella cui veste si trovava a Sydney, in Australia, dove era al G20 e dove è stato raggiunto dalla nomina a ministro. È stato direttore esecutivo del Fmi per l’Italia, consulente della Banca mondiale e della Bce, oltre che membro della Commissione Ue: il che per Bruxelles e per la Bce è un’innegabile garanzia. E anche – verosimilmente – per i cosiddetti «mercati».

È stato scelto, nonostante i desiderata di Renzi che avrebbe preferito conferire quell’incarico al fedelissimo Del Rio, renziano di ferro, quale scelta di «discontinuità». Padoan rappresenta, invece, la «continuità» con i governi Monti e Letta, ed è in linea con le preferenze del Quirinale, di Bruxelles e della Bce, nonché di Bankitalia: tutte istituzioni concordi nel sostenere la necessità di una politica di rigore di bilancio. Inoltre, l’opzione Padoan è in linea con gli auspici del Fmi, il cui direttore delle relazioni esterne G. Rice ha subito dichiarato che Padoan «era molto rispettato quando era membro del board dell’esecutivo del Fmi».

La posizione di Rice e del Fmi stesso non è nuova: è un dato assodato e ampiamente risaputo, omogeneo e in perfetta sintonia con il ruolo e le finalità di questa istituzione. Alcuni mesi fa, intervenendo sulla crisi del debito europeo, Rice avrebbe affermato, piú o meno, che c’era bisogno di intraprendere un’azione ad ampio raggio, ed era urgente. Dopodiché ha chiamato in causa il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, e ricordato come, nel corso di una teleconferenza tra i leader europei tenutasi suppergiú un paio d’anni prima su tali questioni, la Lagarde avesse dichiarato che «è stato chiesto al Fmi di sostenere un’azione di monitoraggio» i cui termini sono ancora «in fase di definizione». Dunque, grazie a tali sponsor, Padoan si è di fatto imposto quasi come scelta obbligata, oscurando il “politico” Del Rio e anche tutti gli altri aspiranti, entrati nella lista dei papabili: Rossi, Reichlin, Tabellini, che pur vantavano, agli occhi dell’establishment, qualche titolo a favore.

Già! Perché Padoan è, sí, ufficialmente considerato un tecnico anche un tecnico, ma non solo un tecnico. Ritenuto di centrosinistra – pare che si dichiari tale da sé –, la sua ossessione non sarebbe il taglio alla spesa pubblica (che pare consideri un mantra della destra), ma quello delle tasse, tanto che i berluscones lo avrebbero definito il «tassatore». Tassare sarebbe la sua ricetta, e non da ora. Come? Non è questo il punto, che è, invece, dove. Pare che in un’intervista del 2010 abbia asserito che le tasse che danneggiano meno la crescita, e dunque da preferire, sarebbero quelle sulla proprietà (leggi Imu, e non solo), mentre sarebbero da abbassare quelle sul lavoro, perché si riflettono sull’occupazione e sulla ripresa. I conti pubblici pare siano un’altra delle sue fisse: cruccio costante il debito e soprattutto il deficit – come Ue comanda , perché la loro crescita avviene in un contesto di stasi se non di recessione e questo spaventa i «mercati».

E qui si delinea – sia pure sullo sfondo e in sordina – un punto di contatto non proprio secondario con il panorama politico italiano. Ritenuto keynesiano, il Nostro è stato direttore della «Fondazione Italianieuropei», il noto think tank di D’Alema: consigliere economico presso il Consiglio dei ministri dal 1998 al 2001, è stato collaboratore di D’Alema e di Giuliano Amato.

Veniamo ai viceministri e sottosegretari di Renzi: la lista del sottogoverno ha suscitato scalpore e vibrate proteste. Concepita secondo i piú triti dettami del «Manuale Cancelli», ha perseguito pervicacemente l’obiettivo di appagare gli appetiti di tutte le correnti del partito di maggioranza, nonché degli alleati, senza dimenticare Forza Italia, della quale Berlusconi ha promesso un’«opposizione responsabile». E, se lo dice lui …

I malumori scoppiati immediatamente non sono dovuti solo, però, o non primariamente, a queste alchimie: quello che ha mandato in bestia, con una levata di scudi da piú parti dentro e fuori il parlamento, è stata la nomina di alcuni personaggi dal profilo quanto meno opaco, in non pochi casi sotto indagine da parte della magistratura. Particolare scalpore ha suscitato la nomina del sottosegretario alle Infrastrutture. Antonio Gentile. del Ncd, nonché assessore regionale sostenuto anche dal presidente della regione Calabria Scoppelliti: costui, il 19 febbraio scorso, avrebbe bloccato le rotative dell’«Ora della Calabria», come ha denunciato il direttore di quel giornale, al fine di impedire che venisse data notizia delle accuse di abuso d’ufficio, falso ideologico e associazione a delinquere di cui il figlio era fatto oggetto. Il ritiro della nomina è stato subito chiesto, oltre che dal M5S, non solo da numerosi parlamentari, tra i quali molti dello stesso Pd, ma anche dai direttori dei maggiori quotidiani e giornalisti come Calabresi («La Stampa»), De Bortoli («Corriere della sera»), Mauro («La Repubblica»), Mentana (direttore Tg di La7), Napoletano (giornalista del «Sole-24 ore»). «Il Fatto quotidiano» (01.03.2014) titola La carica dei 44: inquisiti, incompetenti e lottizzati, all’indomani delle nomine, e non si può dire che diffonda informazioni calunniose. Sappiamo adesso che, per l’eccessivo clamore suscitato, Gentile si è trovato costretto a dimettersi dall’incarico.

Alle Infrastrutture resta Maurizio Lupi, che c’era già, a sua volta alfaniano e a sua volta indagato. Ma Lupi è in quota Comunione e Liberazione: altra appartenenza. Di tale gloriosa compagnia fanno inoltre parte Umberto del Basso De Caro, sottosegretario, ex craxiano, già consigliere regionale campano, indagato per peculato, candidato alle politiche del 2013 ed eletto in parlamento in quota Bersani. Ultimo, ma non meno importante, Riccardo Nencini, vicepresidente per conto dei “piccoli” del Pd (è socialista), condannato a restituire 456.000 euro al parlamento europeo a causa di rimborsi-spese irregolari.

Se per lo spirito di servizio, per dedizione e specchiata fedeltà al compito assunto, il ministero delle Infrastrutture rappresenta la stella polare del governo Renzi, altri – pur con evidenza meno eclatante e, spesso, per evidente incompetenza danno degna prova di sé nel firmamento politico italiano. Alle Politiche agricole è stato riconfermato Giuseppe Castiglione di Catania, carica ricoperta anche nel governo Letta: già nel Cdu con Buttiglione, poi con Berlusconi, è approdato infine al Ncd; arrestato per tangenti assieme al suocero (la famiglia è un bene da tenere unito), a differenza di quest’ultimo è poi stato assolto; già a capo delle province d’Italia, delle province rimane un indefesso sostenitore che ci faccia costui in un governo, che dell’abolizione delle province si fa un punto d’onore, resta un mistero.

La ministra dell’istruzione Stefania Giannini (Lista civica) si potrà avvalere della collaborazione di sottosegretari di aree politiche diverse, tutti collegati, però, da un comune denominatore: la matrice cattolica. Il sottosegretario Reggi, renziano (ex Margherita); Gabriele Toccafondi, ciellino del Ncd, strenuo difensore delle scuole private parificate e da sempre contrario all’imposizione dell’Imu alla Chiesa; dulcis in fundo, Angela D’Onghia, dei Popolari, che risulta vicina all’Unione cristiana Imprenditori Dirigenti: obiettivo di tale associazione privata sarebbe «un’alta professionalità alla luce dei principi cristiani e della morale cattolica», nonché «la conoscenza, l’attuazione e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa».

A seguito di maneggi spartitori la poltrona di viceministro della Giustizia è toccata all’avvocato Enrico Costa, berlusconiano d.o.c., che nelle sue precedenti requisitorie pare non avesse nulla da invidiare al suo compare politico, avvocato Ghedini. Forse il ministro Orlando – che non risulta essere digiuno di competenza su questioni attinenti la legge – non avrà fatto i salti dalla gioia. Ma niente paura: Costa avrà una buona spalla nel sottosegretario Cosimo Ferri, che si autodefinisce «un tecnico», in realtà è un magistrato, già a capo di Magistratura indipendente, devotissimo al Cavaliere. Il Nostro è ipergarantista, forse anche per ragioni di famiglia: ha due fratelli entrambi incappati nelle grinfie delle toghe, uno coinvolto nella mattanza alla scuola Diaz di Genova. Pare che Orlando, venuto a conoscenza di quali sarebbero stato i suoi piú stretti collaboratori, abbia esclamato: «non mi farò condizionare!» quasi fosse un sottoposto invece del capo di gabinetto.

Infine, vale la pena di menzionare Luigi Casero, viceministro dell’Economia, ministero di cui aveva fatto parte con Letta e, prima, da sottosegretario, con Berlusconi. In quota Ncd, sarebbe «una delle punte di diamante della lobby cattolico-imprenditoriale di Comunione e Liberazione all’interno del Ncd. Un partito nel partito, chiamato anche a sostenere il peso economico di una creatura che nasce. Non a caso il tesoriere degli alfaniani è Raffaele Vignali, oggi deputato, ma «per cinque anni, dal 2003 al 2008 potente presidente della compagnia delle opere, il braccio finanziario di CL». E – in tanta allegra compagnia non può mancare il senatore Roberto Formigoni. Il sostegno di Comunione e Liberazione sarà anche una stravaganza del governo Renzi: è comunque una stravaganza ben ricompensata.

P.S. Fonti: numeri diversi di «La Repubblica-Affari e finanze»; «Il Fatto quotidiano» (01.03.2014 e altri nn.); «La Stampa», «Corriere della sera», «il manifesto».

Firenze, 4 marzo 2014

CB

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