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PERCHE’ LOBBY & ANNESSI E CONNESSI

Baranes (come peraltro tanti altri) vede nel preponderante ruolo di banche e finanza  in assenza di organismi deputati a rappresentare con qualche incidenza i cittadini nelle scelte operate dagli «istituti comunitari» (Ue, Bce)  la minaccia di una deriva autoritaria. Per cui, se il loro potere venisse limitato, il cittadino/lavoratore ne sarebbe avvantaggiato. È cosí?
Il ruolo di banche e finanza è chiaro fin dalle origini dell’Ue, che, prima di approdare all’attuale configurazione, si è chiamata Mercato comune europeo (Mec), Comunità economica europea (Cee), accompagnata da altre istituzioni, quali la Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaiao) e lo Sme (il «serpente monetario») di buona memoria, nonché dall’Ecu, la moneta virtuale, apripista dell’euro. E nomina sunt omina: le denominazioni sono state dei presagi (foschi).
Si è parlato di popoli, di diverse condizioni di vita e lavoro, di caratteristiche e dislivelli economici tra i paesi candidati a far parte dell’Unione, e di come ovviare a tali differenze, etc.? Mai. E tali problematiche non risultano presenti neppure nei lavori dei 6 antesignani (Francia, Germania, Italia, Belgio-Olanda-Lussemburgo alias Benelux) che costituirono la base dell’Ue: con buona pace per coloro che – nel «Manifesto di Ventotene», isola dove erano stati relegati dal fascismo – avevano pensato a un’unità europea, sí, ma ben diversa. Lungi dal dar vita agli Stati uniti d’Europa, come pensato da quei confinati  che puntavano alla pacifica coesistenza tra i popoli, dopo le due successive catastrofi del Novecento , si è costruito un «organismo sovranazionale» che ha limitato l’autonomia dei paesi associati, consentendo una graduatoria di importanza. E tale gerarchia viene imposta dai piú forti, che dettano le condizioni ai piú deboli. In base a che? Ai propri interessi. Forse le banche tedesche (e francesi) non erano ricolme di prestiti concessi – su loro promozione – a partner europei della fascia mediterranea? E nelle modalità dei famigerati «derivati», già utilizzati negli Usa, con esiti catastrofici. Pieni di «titoli spazzatura», che c’era di meglio, per tali istituti di credito, che spremere al midollo i creditori? Come è stato fatto. E veniamo alle istituzioni europee.
Il parlamento europeo – si dice – è eletto dai cittadini dei vari paesi associati. In questo maggio (2014) l’italico presidente del Consiglio, detto premier, è in fibrillazione – e con lui tutto il Pd –, in vista delle elezioni europee e del seguente semestre di presidenza italiana. Ma il parlamento europeo ha un’effettiva voce in capitolo sulle fondamentali scelte dell’Ue? (Scelte, comunque, già condizionate dai «Trattati» e da una serie di norme internazionali.) Domanda retorica [qui il rimando ad A che cosa serve il parlamento Ue].
Già “va male” la scelta dei parlamentari, raccomandati da sponsor di turno, o proposti in concorrenza con tizio o caio, o presentati per equilibri all’interno dei, e tra i, vari partiti: né serve lo scandalismo in proposito, anche perché ormai non c’è piú quasi nessuno che si scandalizzi, a meno che non gli serva a fini strumentali. Certo è però che quelle aule non pulluleranno di convenuti animati da «spirito di servizio»  del resto, una specchiata onestà, prerequisito per chi si occupi di «cosa pubblica», è diventata, semmai, un optional. E perché se ne dovrebbero preoccupare organismi che vogliono decisioni rapide da parte dei propri esecutivi, con alcune inevitabili discussioni in parlamento Ue, ma poche e liquidate al piú presto ? A tale scopo un parlamento come quello europeo, di scarse prerogative, è una garanzia.
E tale asfissia della cosiddetta «democrazia rappresentativa» intride i paesi membri dell’Ue: Italia docet. I nostri Costituenti scelsero nei fatti una legge elettorale proporzionale, non solo perché si usciva dalla dittatura fascista, ma anche perché, in una società articolata, le istanze delle varie componenti potessero essere confrontate, per consentire una qualche sintesi, o almeno una mediazione. La sede era il parlamento, che dovrebbe essere l’organo legislativo. Il governo, ossia l’esecutivo, dovrebbe dare attuazione ai deliberati del parlamento. E questo, si badi bene, è funzionale a una «stabilità» piú solida  non quella «stabilità» da tempo invocata per magnificare il maggioritario, il quale già di per sé svuota il parlamento a vantaggio dell’esecutivo. E tanto piú ciò accadrà con le cosiddette «riforme» in corso: si cancella una «stabilità» basata su confronti e mediazioni, per imporre leggi, provvedimenti, misure su una popolazione trattata in modo sempre piú autoritario  cosí si potrà avere piú «stabilità» immediata, ma con crescita epidemica di tensioni, contrasti, conflitti.
Che c’entrano banche e finanza? C’entrano eccome, a cominciare dalla Bce – organo autoreferenziale, non scaturito da elezioni –, la quale non a caso si trova a Francoforte (sede che non ne garantisce l’immunità da influenze dell’establishment germanico) e che, con il seguito e il sostegno dei vari istituti (anche nostrani) preposti a ogni tipo di transazione, costituisce «la lobby piú potente del mondo»  per dirla con Baranes.
Ma questa lobby si spiega nel quadro del liberismo, un “sistema” cui è organica, che la legittima e la sostiene, e dalla quale è, a sua volta legittimato e sostenuto. Un “sistema” a cui la voce dei cittadini dà fastidio e in cui la democrazia  quella reale, senza aggettivazioni  è negata: perché, eliminandone il potere e restringendone gli ambiti di competenza e di intrusione, ne scardinerebbe le fondamenta. In questo contesto le polarità evidenziate da Baranes non sono antitetiche, ma complementari: la «democrazia»  anche a livelli ridotti come quelli delle organizzazioni Ue, presentate a sua tutela – è un orpello inutile, anzi di ostacolo, all’attuale “sistema” liberal-liberista.

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