Nea Polis

Regime italico e «populismi»

Come già detto (ma si dovrà insistere a ripeterlo) in Italia (e in Occidente) non siamo “in democrazia”, come viene mistificato da tutti (da sinistra a destra, passando per «né di sinistra né di destra), ma in un regime: il regime liberale. Perché la democrazia (in base alla sua creazione nell’antica Ellade, e alle forme in cui è riemersa nella storia, dal repubblicanesimo comunale alla Comune di Parigi, ai Soviet, alle repubbliche partigiane e consigli di gestione) è «il potere del popolo, per il popolo, esercitato dal popolo». E nel campo (prioritario) della decisione politica, e in tutti i campi e livelli (organi collegiali a sorteggio e rotazione, sostituzione immediata dei “non adatti”). Dunque, com’è (o dovrebbe essere) evidente (ma certo non a politici, pennivendoli e televendoli, “opinionisti” ed “esperti” vari, giudici e avvocati: tutti mistificatori, anche loro in gran parte mistificati), in Italia, dove i tanti, i piú (il popolo) sono chiamati (a tempo e comodo …) sul piano politico a dare il loro consenso (delega) ai pochissimi di questa o quella o quell’altra frazione, e sugli altri piani sono sotto il comando di altri nominati (per meccanismi interni, o nominati e basta), non c’è nessuna democrazia, intesa in senso proprio.

Era chiaro fin dall’inizio ai costruttori del regime liberale (i quali, allora, almeno non mistificavano né si mistificavano). Nel 1789, all’Assemblea nazionale di Francia si diceva e scriveva (cosí Seyés, un addetto alla stesura della prima Costituzione della Rivoluzione francese): «i cittadini possono dare la loro fiducia a qualcuno di loro. Senza alienare i propri diritti, gliene rimettono l’esercizio. È per l’utilità generale che si nominano dei rappresentanti ben piú capaci di loro stessi di conoscere l’interesse generale, e d’interpretare a tal riguardo la loro propria volontà. L’altra maniera di esercitare il proprio diritto alla formazione delle leggi è di concorrere immediatamente loro stessi a farlo. Questo concorso immediato è ciò che caratterizza la vera democrazia. Il concorso mediato designa il governo rappresentativo». Quindi, come nota J.-Cl. Michéa (Il pensiero sdoppiato. Ritorno sulla questione liberale, Parigi, Flammarion, 2008, p. 102 e n. 1), «il principio fondatore del regime rappresentativo era, fin dalle origini, la capacità accordata a un’élite di “interpretare” la volontà di un popolo al posto di esso, e meglio di esso».

Va quindi aggiunto: se c’è un’élite delegata (manipolando e/o forzando i settori di consenso), e cosí è in campo politico, e se, negli altri campi, c’è la restante élite nemmeno delegata ma solo nominata, siamo in oligarchia («principio» e dunque «potere dei pochi»). Questo è il regime dello Stato italiano: regime liberale oligarchico. Il che non significa un’oligarchia impermeabile: non lo è verso i connessi centri di “interessi e interessati”, e dei seguiti di clientele e gente “in lista d’attesa”, né lo è (pur fra resistenze varie) verso le new entry di frazioni e persone nel “sistema” di regime. Ma purché si mantenga il regime in quanto tale, nonostante gli scontri e incontri fra frazioni e frazioni, e singoli esponenti e loro “gruppi”, dell’oligarchia, e anzi proprio grazie a tali scontri e incontri, che esprimono e nel contempo integrano le contraddittorietà del regime stesso. E purché si continui a spacciarlo e rimbombarlo, ficcandolo a forza nella testa (riducendola a zucca) della popolazione, come “democrazia”, anzi come “unica democrazia possibile”, da difendere contro «populismi» vari.

Senza mai dire ciò che si contrappone al cosiddetto «populismo»: che è solo e unicamente il classismo. Non quello della classe operaia (agitata, al piú, come bandiera astratta o in maniera strumentale da sindacati di regime, o da residui gruppetti iper-minoritari che “fantasmagorizzano” di essere nei primi decenni del Novecento), dato che, in realtà, l’espropriazione dai mezzi di decisione, produzione, circolazione, e della finanza, e della terra, è estesa nella/alla gran massa della popolazione, le cui istanze ed esigenze sono, appunto, accorpate nella pseudo-categoria di «populismo». No, si tratta del (non-detto)classismo dei dominanti: dell’oligarchia nel suo complesso. Con il supporto, pur gravoso però rassicurante, che lo Stato italico a regime liberale oligarchico, quindi l’oligarchia italica, ha alle spalle: la subordinazione combinata agli Usa da una parte, all’Ue dall’altra. E l’imperativo (non-detto, ma sotteso come ineludibile) a tutte le frazioni e fazioni dell’oligarchia, comprese tutte le new entry, è: adeguatevi e fatelo proprio. Come infatti accade e come va messo in evidenza. In attesa e vedendo di operare, per come si può, per tempi e persone migliori.
MM

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