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SINDACO D’ITALIA – CON OMBRA DEL GRANDE FRATELLO

In un “fondo” sul «Corriere», Massimo Franco definisce «opaca» l’operazione con cui è stato dato ruvidamente il benservito a Enrico Letta (M. Franco, «Corriere della Sera», 14.01.2014). E, se l’opacità serve a coprire e dissimulare quanto non si vuole che appaia alla luce del sole, si può senz’altro convenire. Tranne un’esigua minoranza guidata da Pippo Civati, tutto il Pd si è schierato al fianco di Matteo Renzi, non solo i fedelissimi della prima ora e neanche i convertiti della seconda, ma tutti gli altri, gli incerti, i dubbiosi, i tiepidi, fino alle retrovie di quell’ala della minoranza guidata da Gianni Cuperlo, che, con un discorso piuttosto arzigogolato e fumoso, ha cercato di motivare, in un primo tempo, la proposta di evitare la conta, cioè un voto alla fine della riunione, e, quando la proposta non è stata accolta, si è allineato alla maggioranza, votando la fiducia a Renzi – in nome dell’unità del partito.

Pare che già all’indomani della vittoria alle «primarie» del passato dicembre, aspettando davanti a un teatro di ascoltare l’arringa del sindaco fiorentino e prossimo a diventarlo anche dell’Italia, un militante del Pd abbia esclamato, convinto: «benvenuti in Bulgaria!» (Cit. da A. Ferrarese, S. Ognibene, Matteo, il conquistatore, Firenze, Giunti, dic. 2013).

“Sul carro non si sale, lo si spinge” – aveva piú o meno dichiarato il Nostro in un recente passato –, e si può star certi che su quel carro saranno solo un esiguo numero di fedelissimi a salire. Gli altri, i transfughi dell’ultim’ora, meglio lasciarli a terra, a spingere. Ma che importa? La promessa di far durare la legislatura fino al 2018 è un valido argomento, anche se, forse, non il solo, comunque tale da convincere la pletora dei beneficiati dalla politica, di coloro, cioè, che “ci campano” (e bene) e che, in simili circostanze, aspettano di capire in quale direzione tiri il vento.

Renzi altro dice, altro pensa, altro fa, le sue sono «promesse da marinaio»: non aveva forse affermato piú volte, anche in tempi recentissimi, che intendeva dedicarsi alla funzione di sindaco di Firenze, città che ama e dalla quale – a suo dire – è riamato, assicurando Letta che avrebbero fatto ciascuno la propria parte “per il bene del partito e dell’Italia”? Per cui qualche maligno già avanza dubbi sulla durata della legislatura, sostenendo che quell’affermazione sia stata una sorta di captatio benevolentiae verso l’interno, nei confronti del suo stesso partito, e di rassicurazione verso l’esterno, nei confronti dei «mercati». Sta di fatto, comunque, che nel partito quell’affermazione ha sfondato e che «Moody’s», un’agenzia di rating non precisamente benevola nei nostri confronti, ha rivisto in positivo le precedenti previsioni sull’Italia.

Non si può certo dar torto a Grillo e, una volta tanto, neppure a Brunetta, che hanno chiesto a gran voce la parlamentarizzazione della crisi in atto: che Napolitano rinvii Letta alle Camere e si apra un dibattito in quella sede, secondo la prassi di quella che viene detta «democrazia parlamentare». Però Berlusconi ha prontamente zittito Brunetta: ma che gliene frega agli italiani di tali quisquilie? Sono altri i problemi!

Napolitano, in tempi non lontani strenuo sponsor di Letta, si è adeguato al corso degli eventi: ha accolto le dimissioni irrevocabili di Enrico Letta e ha avviato le consultazioni. È subito partita la corsa al “toto-ministri” – e anche l’arrembaggio per la successione di Renzi a Firenze – con i soliti veti incrociati, le consuete conditio sine qua non, richieste di posti, rivendicazioni di ruoli.

La nascita del “governo di svolta” incontra qualche difficoltà, ma, alla fine, possiamo esserne certi, il varo ci sarà e Renzi potrà dire che “la nave va” – magari alla deriva: il riferimento al noto film di Fellini non è proprio di buon auspicio. Poco importa se assisteremo a qualche escamotage, varie concessioni e alcune rinunce – piú per il bene di Renzi e del suo staff che di quello dell’Italia. Si tratterà, comunque, di trascurabili inezie sacrificate di buon grado alla necessità del momento, che, in presenza di un programma sfocato e di contenuti evanescenti, si avrà buon gioco a qualificare come del tutto marginali. È probabile che la parte del leone la farà Berlusconi, che ha i numeri, cioè una buona fetta di seguaci, e che ha assicurato un’opposizione collaborativa; qualcosa si dovrà concedere anche ai “piccoli” – sono pur sempre consensi –, ma la vedette sarà Silvio, agli altri è riservato un ruolo di ballerine di seconda e terza fila.

E cosí si scaricheranno sulla nascita e sulla vita dell’esecutivo tutte le tensioni interne alla destra – Forza Italia e Nuovo centrodestra –, dopo quelle interne al Partito democratico, che hanno portato alla liquidazione di Letta.

I raggruppamenti minori – casiniani, vendoliani e altre schegge e “mine vaganti” – porteranno forse qualche effervescenza, talora riusciranno magari a rivendicare alcunché, ma sostanzialmente funzioneranno come manipoli di complemento, funzionali ciascuno agli interessi dell’astro di riferimento, purché non a scapito dei propri.

Che cosa cambierà, dunque, nella “nuova” formazione renziana, rispetto al governo Letta? Ma via, vogliamo proprio essere ottimisti a oltranza? Vogliamo andare in paradiso a dispetto dei santi? Perché di una cosa possiamo essere certi, e non è per nulla rassicurante: lo snellimento dell’apparato statale promesso da Renzi, l’abolizione del Senato, etc., non avverrà nel senso e con lo scopo di rendere sostanzialmente piú efficace e funzionale l’apparato – nel senso di sburocratizzarlo in nome di una maggiore trasparenza ed efficacia realmente democratica –, ma sarà piuttosto un’operazione di marketing atta a dissimulare non solo e non tanto l’inconsistenza dei contenuti, quanto, ed è forse l’aspetto peggiore, l’accentramento dei poteri nelle stanze dell’esecutivo, nell’ottica “del fare” e del “fare presto”, senza tante chiacchiere e discussioni inutili, e svuotando di fatto il parlamento di quella già minima funzione di controllo e di interdizione che ancora gli rimane.

Riuscirà Renzi, con l’avallo “democratico”, a fare quel che a Berlusconi in vent’anni non è riuscito? Non è del tutto escluso. Il «sindaco d’Italia» – come si compiace di chiamarsi – guarda all’“Amerika”: attentissimo non solo al proprio look, ma anche a disposizione e arredo dei locali dove tiene le sue conventions, aveva fatto addobbare la «Stazione Leopolda» a Firenze con i colori della bandiera americana, anziché con quelli dell’Italia, che, guarda caso sono anche quelli del suo stesso partito – se no, che svolta è? Solo che in tal modo l’Italia si rivela ancora una volta provincia, periferia dell’impero, dove si scimmiotta maldestramente il modello del momento, alla maniera di apprendista stregone dozzinale: e non si addice tutto ciò al Nostro, a cui aderisce come una seconda pelle, al di là dei rifacimenti del look e del giovanilismo ossessivamente sbandierato? Non emerge forse, in tutto questo smanettare da parvenu, il ricordo, evidentemente mai del tutto sopito, del giovanotto di Rignano sull’Arno, goffo e un po’ sovrappeso, che, in tempi ormai lontani, si era presentato improbabile abbigliamento all’«Isola dei Famosi», una trasmissione che, per il livello dei contenuti, lo stile e l’atmosfera fa perfettamente il paio con il «Grande Fratello». Un richiamo che è quasi una profezia, per chi abbia letto Orwell.

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