Sui cosiddetti diritti civili – questione nel cui merito mi riservo di intervenire in altro momento – imperversa una campagna che sconfina talora in accenti da guerra di religione. Sposatevi e siate sottomesse è il titolo di un libro scritto da una militante (sostantivo appropriato) intervistata di recente in una trasmissione televisiva, zelantemente impegnata a dimostrare quanto sia gratificante la sottomissione al proprio partner, pardon!, al proprio marito nonché capo-famiglia.
Il «Family Day» di sabato 30 gennaio ha visto schierata l’ala piú oltranzista del conservatorismo italiano: pare fossero stati predisposti 1.500 pullman per favorire la partecipazione di coloro che intendono mobilitarsi in difesa della «famiglia naturale», di cui molti accorsi con moglie e figli, solleciti al richiamo di militia Christi e dei neocatecumenali tra i quali spicca Mario Adinolfi, transfuga ex Pd, immortalato da una foto sul «Fatto» assieme a un quartetto composto da Poli, Cesa, Binetti nonché l’ex finiano Ronchi. Tra gli illustri convenuti anche il “Celeste” Roberto Formigoni, preclara figura della passata gestione politica lombarda, distintosi per il linguaggio da trivio – “tutti froci, gay e lesbiche”, avrebbe scritto piú o meno in un comunicato (la lingua, dovrebbe essere noto, è un sismografo precisissimo della sensibilità dei parlanti). Per il governo (!?) era presente il ministro Gianluca Galletti (v. «Il Fatto», 31.01.2016) né poteva mancare l’immarcescibile Giovanardi, tutti legati dalla comune appartenenza ai «Centristi», una formazione che vanta una consenso elettorale da prefisso telefonico. Costoro hanno sostenuto e preteso di dare a intendere – supportati anche da alcuni media – che la loro iniziativa avrebbe registrato due milioni di presenze, quando è arcinoto che il Circo Massimo, dove erano convenuti i loro seguaci, in occasione del concerto dei Beatles, tenutosi appunto in quella sede che per l’occasione era stracolma, aveva visto 75.000 presenze. Per cui, anche supponendo che si fossero pigiati come sardine in difesa della osannata famiglia tradizionale magari salendo sui piedi dei vicini e portando i figli sulle spalle, non si vede come avrebbero potuto superare – a esser generosi – le 150.000 persone. D’altra parte l’elasticità con cui si manipolano le cifre a seconda della convenienza è prassi nota in tutti i comparti della nostra politica.
Intanto Grillo – si insinua – per recettività agli umori, supposti o reali, del proprio elettorato, avrebbe decretato in extremis per il suo movimento (il possessivo è appropriato) la libertà di coscienza: qualcuno potrebbe obiettare che dovrebbe essere ovvio e che – senza scomodare la coscienza, entità piuttosto indefinita in quanto condizionata da valutazioni estremamente soggettive, come l’educazione, l’ambiente, le credenze più o meno religiose e, si potrebbe aggiungere il perbenismo piccolo borghese – peraltro i parlamentari non hanno (giusto o sbagliato che sia) vincolo di mandato. Con un po’ di malizia, forse non priva di una qualche verità, è stato insinuato che tale “contrordine compagni!” sia scaturito dall’assunto che nel Pd non tutti sono d’accordo con tale progetto di legge e che il voto dei 5S avrebbe potuto essere determinante per l’approvazione della legge. Frenare l’annunciato precedente e bellicoso comunicato di adesione del Movimento alla legge (“la voteremo così com’è e non accetteremo modifiche di sorta incondizionatamente”) sarebbe dunque un escamotage finalizzato a fregare il Pd cui in tal modo verrebbero a mancare i voti sufficienti per l’approvazione. Sarebbe questa la conclamata diversità rispetto all’agire altrui nonché l’attenzione e il rispetto per la volontà dei propri adepti che, stando ai commenti sulla rete, sembrerebbero imbufaliti. È stato anche insinuato che Grillo (portavoce e corifeo di Casaleggio) avrebbe in questo modo accontentato il Vaticano (meglio sarebbe dire, eventualmente, la Curia, che non ha mancato di far sentire la propria voce stentorea) di cui il Nostro avrebbe subito le pressioni. In ogni caso, che le scelte dei nostri rappresentanti fossero improntate a interessi di bassa bottega quando non espressamente personali lo sappiamo da tempo immemorabile; va registrato come a tale prassi, che non sembra eccessivo definire guerra per bande, non si sottragga nessuno dei nostri cosiddetti, impropriamente, “onorevoli”.
En passant va rilevato che nel frattempo il duo Casaleggio-Grillo avrebbe vincolato i propri parlamentari ad attenersi tassativamente alle disposizioni di, nell’ordine, Casaleggio, Grillo, il direttorio, pena l’espulsione e la multa di € 150.000 euro; questo, intervenendo in merito alle elezioni romane e a scanso di tentazioni trasformistiche ormai all’ordine del giorno tra i politici di ogni colore. Ora è pur reale e inveterato lo sconcio in materia, tale da non fare neppure più notizia, dilagato a livelli stratosferici nel biennio renziano (pare che oltre 170 deputati e 166 senatori e avrebbero cambiato casacca in tale spazio temporale), ma che due paperoni (che chi scrive si pregia di non aver mai fatto mistero di non apprezzare minimamente), presumano di arginare d’autorità (quale?) tale deriva con un diktat, mentre predicano la democrazia diretta – anche se si riferiscono alla discutibile accezione che la vede applicata con le consultazioni in rete – può solo lasciare basiti gli ingenui che si erano illusi, magari perché “di qualcuno bisogna pur aver fiducia”, di intravedere una possibile svolta. In realtà si trattava e si tratta semplicemente di due miliardari improvvisatisi capopopolo, radical chic, come ogni snob che pretenda di atteggiarsi a progressista senza rinunciare alla difesa, alla conservazione e al consolidamento dei propri interessi dei propri interessi e privilegi.
Anche Renzi, nel frattempo, per non essere da meno, ha mitigato il proprio iniziale decisionismo (andremo avanti senza tentennamenti: è il succo delle sue precedenti esternazioni), dichiarandosi nettamente contrario all’«utero in affitto» (di cui peraltro non mi risulta che si parli nella suddetta legge), in quanto – si sostiene – le stepchild adoptions aprirebbero la strada a tale sbocco e dunque sarebbero avversate da chi paventa questa evenienza. (Non entro nel merito di tale argomentazione perché – come già scritto – mi riservo di intervenire in altra sede.) Anna Finocchiaro – una veterana di tutte le evoluzioni e vicissitudini della cosiddetta “sinistra”, è andata oltre, dichiarando di volersi attivare al fine di far promuovere un provvedimento che metta fuori legge la pratica dell’«utero in affitto» a livello universale (qualsiasi cosa questo voglia dire). C’è poi – tra i membri del parlamento – chi lamenta l’uso dell’inglese: stepchild adoption è una definizione che alcuni parlamentari non riescono neanche a pronunciare (come documentato in una trasmissione): tutta colpa dell’uso dell’inglese – peraltro debordante anche se mal padroneggiato – cui c’è stato chi ha imputato di aver favorito l’adesione al provvedimento giocando con la scarsa dimestichezza – diffusa evidentemente in parlamento – con tale lingua. Alla buon’ora! Non è forse prassi di servirsi di tale escamotage a seconda delle convenienze e delle circostanze? Il ragionamento – se tale sproloquio si può pregiare di questa definizione – ricorda la trippa fiorentina che si tira da tutte le parti.
Ecco i nostri rappresentanti che dovrebbero legiferare per il bene degli italiani in un momento – tra l’altro – delicatissimo e di precari equilibri oltre che sul piano interno anche a livello internazionale.
CB