«Meno Stato piú mercato»: slogan che ci tempesta da anni. La «libera concorrenza» – si predicava – avrebbe prodotto un abbassamento dei costi, a vantaggio dei consumatori. E in nome del «libero mercato» si è liberalizzato tutto l’immaginabile, sono stati (s-)venduti i gruppi industriali che erano i “gioielli di famiglia”, né sono mancate le cartolarizzazioni, effettuate a piú riprese e – dato che devono essere un evergreen – pare tornate in auge anche in questi giorni, stando a qualche esternazione di fonte governativa. In alcuni casi i cartelli hanno garantito alle società di trarre reciproco vantaggio senza che ciascuna dovesse perdere la propria clientela. Quale utilità al cittadino contribuente? Vediamolo alla luce di due casi diversi ma emblematici, radicati in una strategia e in un modus operandi analogo.
Primo: scenario internazionale. Ne dà notizia il quotidiano «La Stampa» e riguarda la tempesta scatenatasi su banche (e borse) in questi ultimi giorni a opera (informa l’articolo) di 3 fondi di investimento speculativo “amerikani”. Con abili e astute manovre sarebbero stati aggirati vincoli di legge e relativi divieti, informa il giornale, con dovizia di dettagli tecnici. Il che non sembra poi tanto arduo, dato il deficit di controlli e di adeguati strumenti per effettuarli, la natura spesso lasca delle leggi stesse e le conseguenze, talora risibili, delle trasgressioni. Quali i fondi in questione non è dato di sapere per la rilevanza che hanno in campo finanziario: questa la sostanza delle dichiarazioni.
Intanto si vocifera di istituti finanziari stranieri interessati all’acquisizione di banche italiane che sarebbero «in sofferenza», ivi compresa, pare, anche la bad bank, che dovrebbe raccattare l’insieme delle «sofferenze», alias i «titoli-spazzatura» per rivenderli poi a qualche acquirente straniero. “Perché mai verrebbero acquistati questi titoli e queste banche?”: è la domanda logica. Perché tali banche disporrebbero, si dice, di un patrimonio immobiliare tale da costituire una valida garanzia.
A seguito del fallimento di Banca Etruria e consorelle, i clienti che vi avevano investito i loro soldi – talora i risparmi di una vita – hanno perso tutto. Si è fatto un gran discutere sui media se la ministra Boschi si dovesse dimettere (di Renzi si è parlato meno: è il presidente del Consiglio, meglio glissare su eventuali implicazioni del padre nell’affaire). Però in casi analoghi, vedi il caso Cancellieri, non si è esitato, proprio da parte di membri dell’attuale governo, ivi compresa la Boschi, a pronunciarsi sull’inopportunità che una figura pubblica di rilievo fosse toccata anche solo dal sospetto, motivato o meno che fosse: la moglie di Cesare non deve solo essere irreprensibile, lo deve anche sembrare. Come no! Ma questo vale per gli estranei: tra amici il discorso cambia.
Secondo: tutto in casa nostra. Con l’ondata di liberalizzazioni di energia elettrica e gas di cui siamo stati beneficiati, offerte, proposte, pressioni da parte delle varie società si sono rovesciate a valanga non solo sui media, ma anche attraverso telefonate insistenti e fastidiose, perfino nelle ore piú inopportune e nei giorni prefestivi. Né risulta che le telefonate siano dirette a uffici (diamine, non si può distrarre l’attenzione dagli affari!), ma sono un privilegio riservato alle abitazioni dei comuni cittadini: la tanto sbandierata privacy in tal caso non esiste.
Ma non basta. Tali telefonate si configurano quasi sempre come una truffa; e che non lo siano è l’eccezione. Per lo piú si presentano tutte come «Enel energia elettrica», senza precisare, se non su espresso e ripetuto sollecitato, di quale società si tratti, sostenendo di voler/dover applicare agevolazioni o riduzioni. Chi ascolta viene cosí indotto a credere che tali telefonate siano effettuate per incarico di altra società, qualora dichiari di disporre già di un contratto in essere. Con tale pretesto si chiedono dati personali e bancari – “mi conferma che …” – e si ottiene la sottoscrizione di un nuovo contratto. Chi scrive parla con cognizione di causa ed esperienza diretta.
Purtroppo non è possibile fare il nome di tali campioni di correttezza e di onestà. Si dovrebbe aspettare che la truffa avesse corso: se tempestivamente individuata e sventata non è consigliabile denunciare il raggiro, si tratta soltanto di tentata truffa e diffondere il nome degli autori esporrebbe al rischio di una denuncia per diffamazione. Ecco il liberalismo, nel/di mercato e nel/di diritto. Come proclamano i tanti “realisti”: «è il mercato, bellezza!».
CB