Il Washington Consensus – Usa, 1989, e caduta del «Muro di Berlino» –, si dispiega quale “ricetta” del «neoliberismo» (è il liberalismo economico senza freni: deregolamentazione, delocalizzazione, privatizzazione, non-intervento statuale, finanziarizzazione di…“tutto”). “Ricetta” degli Stati capitalistici dell’«anglosfera» e dell’Ue – mentre implodeva e si dissolveva (gestione Gorbaciev-poi Yeltsin) l’Unione sovietica quale “modello altro” (una gestione “toto-statuale”, passata come «socialismo reale» o «comunismo», ma mai esistiti). E “ricetta” imposta su scala globale, significando le “regole” per ogni Stato: le forze politiche concorrenti al governo potevano, anzi dovevano, dividersi in destra e sinistra, competere fra (cosiddetti) “conservatori” e “progressisti”, ma la gestione concreta (economica, politica, sociale, culturale), pur differente su questioni accessorie, doveva seguire le linee di fondo –: alternanza destra-sinistra sí, ma nell’«alternativa unica».
Con il Washington Consensus le massime centrali finanziarie, dominanti nelle corporations transnazionali e multinazionali, hanno ampliato a dismisura la loro accumulazione di capitale, mentre si sono connesse – fusione senza confusione – a quello Stato che è il massimo centro imperiale, gli Usa (che intendevano mantenere il loro monocentrismo mondiale), agli Stati connessi (l’Uk, nonché Australia, Nuova Zelanda, Israele) e subalterni (quelli raccolti nell’Ue e organizzati nella Nato), oltre a radicarsi negli apparati (politici, ministeriali, militari, mediatici) di un gran numero di paesi.
Ma ciò ha incontrato via via dei “problemi”: da un lato, la Russia si è venuta sollevando e ricostituendo (gestione Putin) non seguendo la “ricetta”, la Cina andava al suo regime totalitario di capitalismo di Stato però “in proprio”, altri paesi attuavano spinte sempre maggiori a sottrarsi da tale “cappa”; dall’altro, la massa di capitale in ulteriore accumulazione veniva trovando sempre maggiori ostacoli a poter essere investita in modo “remunerativo” (nel redde rationem dell’economia reale, produttiva: profitto inadeguato rispetto alla massa di capitale presente – donde i debiti statuali, le strozzature di ogni “intervento sociale”, le “bolle” speculative, il che, mentre denunciava le difficoltà, serviva a rastrellare profitti a ogni costo, e rischio). E quindi le crisi, e quindi quella del 2007-8, apertasi senza via di uscita: condizione di stato critico permanente. Di qui il disegno globale del Great Reset, varato da centrali e “addetti” che si ritrovano a Davos – ne può essere assunta la denominazione sintetica –, che costituiscono il Forum economico mondiale (WEF), che puntano al Nuovo ordine mondiale (NWO) e tuttora contano sugli Stati indicati, e hanno lanciato il “colpo” a livello mondiale a fine 2019-inizio 2020 (scatenando la pseudo-pandemia, con seguito di “misure” vessatorie e arrivo dei perniciosi intrugli venefici).
Il disegno di Davos? Perpetuare l’imperio di oligarchie globaliste e Stati con esse intrecciati: governo mondiale (con organismi sovranazionali e riduzione dei vari Stati a “uffici” di gestione), gettito costante e regolato del profitto (per il mantenimento del valore accumulato), controllo e comando (in tutti i campi, comprese la medicalizzazione e la durata della vita) sulla popolazione globale, e sua riduzione (anche con l’attacco all’antropicità, e la gestione delle nascite), distruzione di ogni assetto economico e sociale precedente con la transizione pseudo-ecologica e pseudo-energetica (con menzogna dello pseudo-riscaldamento globale), scatenamento della tecnologia (digitalizzazione, verso la rimessa di tutto all’«intelligenza artificiale») e sua applicazione in ogni campo della vita, distruzione di ogni storicità e cultura, e passate modalità di esistenza. Un delirio di potenza scatenato, che non può salvare l’iper-centralizzazione capitalistica raggiunta: deve abbattere gli Stati che non accettano – in primis la Russia, un ottavo delle terre emerse, ma anche la Cina (che ha attuato qualcosa di simile, però lo fa “in proprio”), nonché India, e Sudafrica, Iran, Brasile, altri ancora, per non dire dell’Africa, che si sta sollevando: ben piú di oltre la metà dell’umanità –; la crisi riemerge nelle azioni-boomerang decise per piegare chi non si piega (v. fallimento di banche Usa); il redde rationem si traduce nel concreto scontro “sul campo” (dopo la suite di guerre, dopo il macello nel Vicino Oriente, la Siria, l’Afghanistan, insieme ai tentativi contro la Serbia e nella Georgia, si ha la guerra in Ucraina), che, pur in un caos di sangue e miseria, non vede loro successo.
Un disegno che, se accettato, avrebbe condotto l’umanità a una degenerata estinzione, ma che, pur circoscritto come oggi, può a colpire a fondo l’umanità degli Stati intrecciati con Davos, mentre la sottopone tutta alla minaccia di un conflitto che strabordi a livello mondiale.
Al Washington Consensus si è sostituito il Davos Consensus, che segue il liberalismo economico, ma lo subordina al contesto piú ampio e distruttivo del disegno di Davos. E il Davos Consensus è in piena attuazione in Italia – nel regime che dal 2020 vi si è instaurato –, con forze politiche come il Pd, che, con la nuova segreteria ha assunto esplicitamente come proprio tale disegno; con altre forze che vi fanno solo delle differenze parziali; con una giunta di regime che lo esegue sulle linee essenziali – e l’infame appoggio al regime di Kiev è dirimente per ogni giudizio. L’obiettivo del movimento di opposizione-resistenza, espressione (pur non consapevole) del blocco sociale (dipendenti e subalterni) formatosi in questi tre anni, e pur ora è franto in 1000 e 1 pezzo, non può (e non dovrebbe…) essere altro – al di là della definizione articolata di analisi, progetto, strategia, che sono ancora “da venire” (almeno nella massima parte di gruppi e gruppetti) – che: capire bene contro che e chi ci si batte, unendo tutti i temi specifici; puntare ad abbattere il regime (non a parteciparvi) e organizzarsi a tal fine; dare il massimo appoggio alla Russia (che abbia piú o meno chiaro il nemico con cui sta cozzando), perché nei fatti sta combattendo anche per chi si muove contro Davos.
Firenze, 21 marzo 2023