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VANDEA LIBERAL

E dunque, ciò che sembrava impossibile è via via diventato possibile, pur improbabile – di fronte al grande fronte avverso, al discredito mediatico, ai sondaggi negativi –, e invece si è realizzato: Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali negli Usa. Vinte, battendo la frazione detta Partito democratico e la frazione detta Partito repubblicano, che gli si è anch’essa opposta, di quello che è il partito unico esistente negli Stati Uniti (da denominare Partito repubblicano democratico: e Trump ha da sempre dimostrato di considerarlo tale, passando nei suoi trascorsi dall’una all’altra frazione). Vinte, battendo il “grosso” dell’establishment (l’assetto del potere politico ed economico negli Usa), con “discesa in campo” del presidente uscente, Obama con consorte, di schieramento contrario dei grandi media e perfino della massima parte di “divi” hollywoodiani, cantanti, rockstar.

Va evidenziato che Hillary Clinton, dietro slogan tanto «politicamente corretti», quanto fuorvianti “Trump è un molestatore di donne” (e giú un seguito di donne a denunciarne presunti “abusi”), “una donna per diritti delle donne!”, “la prima donna alla Casa Bianca!”, “no al maschismo, razzismo, xenofobia, omofobia” di Trump, et similia , era la prosecuzione della politica devastante di Obama (spacciata da politica di pace, con Premio Nobel – il che la dice lunga su che cosa sia questo Premio), politica a cui la Clinton ha partecipato attivamente: all’estero, dalla promozione e uso strumentale delle cosiddette «primavere arabe» per destabilizzare ogni assetto nel Vicino oriente e Nordafrica, alla guerra contro la Libia, alla promozione via Arabia Saudita e potentati del Golfo come il Qatar (e via Cia, e via “tre occhi chiusi” della Turchia) dell’Isis (con tanto di milioni di dollari intascati direttamente dalla cricca-Clinton), nell’accentuazione dello scopo di fondo: isolamento, contenimento e pressione sulla Russia, dal Vicino, Medio, Lontano oriente, all’Europa dell’Est (Georgia, Ucraina, paesi baltici), con tanto di rafforzamento aggressivo della Nato; all’interno, prosecuzione nella delocalizzazione e deindustrializzazione, nei colpi continuativi su lavoratori e dipendenti americani, nell’uso massiccio a tal fine l’immigrazione, nei colpi anche sull’agro-alimentare (continuando nel trattato transamericano, procedendo all’accordo transpacifico e al Trattato di libero scambio interatlantico, che avrebbe danneggiato ancor piú l’Europa, oltre che l’America, pro capitale transnazionale e multinazionali, comprese quelle dell’alimentare).

Clinton era il peggio, e la sua sconfitta (che pone fine alla sua carriera politica) l’ha bloccato. Il che non significa farsi illusioni su Trump: è anch’egli un miliardario, ha, e avrà, nel suo staff personaggi piú che “discutibili”, da cui guardarsi, ha già fatto aperture alla grande finanza nonché allo stesso establishment, appare ben poco interessato alle questioni ambientali, inoltre dovrà muoversi secondo quanto gli permette l’impianto istituzionale (statuale) degli Usa, né certo gli si può attribuire una qualche posizione “eversiva” e ancor meno “anti-capitalistica”. Tuttavia, Trump ha profilato obiettivi rilevanti: strozzatura (ulteriore) del «libero scambismo» alias maggiore protezionismo (“bestia nera” di liberali ed economisti) e grande piano di massiccio intervento statuale Usa (pare per 1.000 miliardi di dollari) per investimenti interni (rilocalizzazione e reindustrializzazione, e revisione dei trattati del Pacifico e del Nafta, e no al Ttip), nel sostegno a produzione, lavoratori, addetti, e dipendenti americani, e blocco dell’uso contro di loro dell’immigrazione, quindi espulsione di clandestini (già messa in moto dallo stesso Obama) e freno all’immigrazione stessa (il “muro” con il Messico, ossia rafforzamento della barriera che c’è già); contenimento del ruolo mondiale degli Usa e ricerca di un accordo con la Russia (il che riduce i rischi di guerra generalizzata), andando a una soluzione del disastro nel Vicino e Medio oriente e Nordafrica, maggiore disimpegno degli Usa in queste aree nonché in Europa, e riduzione dell’impegno Nato (“che gli europei facciano da sé”: Trump non si è mai rivolto all’Ue, e ha sostenuto la Brexit), contenimento alla globale espansione cinese – insomma: si accetta il declino del monocentrismo Usa e si accoglie un maggiore multipolarismo, puntando a salvaguardare e potenziare la condizione interna degli Usa, frenando il liberalismo forsennato sul piano economico.

Sono questioni importanti: per l’America, l’Europa, il mondo quindi anche per noi. Certo, è da vedere, e seguire, se Trump procederà, e come, per attuare questi obiettivi o se invece via via si diluiranno ed evaporeranno. Ma resta il fatto che sono stati posti, e sono di peso primario.

Sconcerto per il successo di Trump in Europa: spiazzati i gestori dell’Ue e quasi tutti i governanti degli Stati europei, e tanta “gente” rimbombata dai media – che hanno fatto campagna per … la Clinton (come se si votasse nell’Ue). E si pensi ai media italici, ai sondaggi nostrali per cui il 63% gli italiani voleva la Clinton presidente, la piaggeria di Renzi, andato con una “Corte dei miracoli” (a lui adeguata, né vi poteva mancare il buffone ufficiale, Benigni) a omaggiare Obama e a dichiararsi per la Clinton – e ricordando il flop della Boldrini e della Boschi, anelanti, a una scadenza elettorale della Clinton, a un selfie con costei: rientrate scornate, non riuscendo neanche a farlo.

E sconcerto negli Stati Uniti: in alcune grandi città si sono susseguite manifestazioni anti-Trump, anche di dimensioni numeriche ampie, fino a scontri con la polizia – ripresa degli slogan della campagna elettorale della Clinton: “no a Trump”, “no al suo maschismo, razzismo” etc.: “non è il mio presidente”. Molti i manifestanti giovani a denunciare in Trump la piú nera reazione.

Mi sono venuti in mente i giovani che, dopo il referendum (in cui spesso nemmeno avevano votato) sulla Brexit, manifestavano in Inghilterra: “i vecchi ci rubano il futuro”, grido demenziale, attestato di decerebrazione. Non dissimile da quella di questi americani anti-Trump, che presentano addirittura “effervescenze” psicotiche del «politicamente corretto» martellato a forza nelle teste, berciando slogan della grancassa dei media e di divi e cantanti in lacrime, senza la piú pallida ombra della sostanza tutt’altra della campagna elettorale: la politica estera e interna. Dicono i media che questi “sono cittadini istruiti, che hanno studiato o studiano, aperti al mondo …”, mentre “per Trump hanno votato gli ignoranti delle fabbriche, dei campi e fattorie in crisi, dell’America profonda, chiusa e retriva …” – insomma, l’ha votato chi capisce poco o niente, chi non è intelligente.

Ma chi è piú «ignorante»? Chi produce, sa produrre, vede, sente e “tocca” come il livello di vita, personale e generale, sia in degrado generale e costante, oppure chi gestisce studi, o ha compiuto o sta compiendo studi, che ne fanno al massimo un “operatore tecnico” (pur con titoli di professore, avvocato, ricercatore, etc.) in qualche campo, senza acquisire nessuna capacità di visione del mondo né tantomeno di analisi critica? (E sono studi dai costi elevati: si paga caro … l’«insegnamento dell’ignoranza».) E chi è piú «intelligente»? Chi non ha alcun savoir faire concreto, non lotta ogni giorno per “campare alla meglio”, non si basa sul metro di giudizio della vita reale? È piú intelligente chi vive su gettiti altrui (di famiglia o altro) o su attività di utilità fittizia, ed è alla mercé delle operazioni dei media e della “cultura ufficiale”? (Con i loro agenti e docenti, pennivendoli e televendoli, e con divi e cantanti, promossi nel mondo dei ricchi dai soldi ricevono.)

Comunque, è la popolazione detta «ignorante» – lavoratori, impiegati, contadini, allevatori, tanti poor withe declassati, ma anche ispanici (contro l’ulteriore afflusso di altri come loro), ma anche neri (ne hanno le scatole piene delle promesse vuote di Obama e del prosequio con la Clinton), ma anche tante donne (devono “tirare avanti” e se ne fregano delle chiacchiere della Clinton, buone per «donne in carriera» e aspiranti tali) –, è la popolazione composta da coloro che, in Francia, vengono detti sprezzantemente (da “gente illuminata” simile a questi manifestanti Usa) boeufs (rozzi zoticoni, ignoranti e retrivi, animali o quasi), che ha sostenuto e votato Trump.

Certo, anche costoro sono manipolabili, e le loro idee sono un mix di rilevazioni sensate e credenze poco condivisibili (data, peraltro, la pervasività del pernicioso protestantesimo puritano, che è alla base della formazione degli Stati Uniti): ma si dimostrano meno manipolabili dall’«ordine costituito», né campano a spese della produzione, dell’attività, della vita altrui. Mentre la “gente” (pseudo-)“istruita” delle città, che si sente «progressista», la “gente” dei permeati dal «politicamente corretto», dai discorsi edificanti da «anime belle», dalle convinzioni liberal interiorizzate a livello tale che qualsiasi messa in discussione provoca turbolenze psichiche (en passant: reattività del genere ho avuto modo di rilevarle anche da noi, in qualche “sinistro estremo”), teste manipolate che non riescono a vedere tali asserzioni come espressione (distruttiva) e copertura (malefica) del processo (capitalistico) di dispiegamento mondiale (politico, economico, tecnologico, sociale, culturale, mediatico) detto «globalizzazione», che ha devastato e devasta il mondo, e gli stessi Stati Uniti.

Però, rilevano i media con l’aria di “chi sa”, il Ku Klux Klan, la «Superiorità ariana», gruppi affini hanno appoggiato Trump e neonazisti vi sono anche in Germania, e “destri” estremi vi sono in Francia, e anche neofascisti da noi (peraltro, il «neo-» è inutile: si tratta di nazisti e fascisti). È vero: nel bacino elettorale di Trump c’è una frangia di “estrema destra”, ma se si insinua che sono costoro, o loro prossimi o simpatizzanti, a formare la massa dei sostenitori ed elettori di Trump, si fa opera di mistificazione. E va rilevato che l’opposto complementare c’è fra gli anti-Trump, gruppi di “estrema sinistra” che concepiscono la trasgressione “a prescindere” come libertà e che, insieme a para-delinquenti – vedi la notizia (non smentita) che gruppi organizzati, ben finanziati (da chi? Pare anche il famigerato Soros), reclutano “a paga” manifestanti anti-Trump, con retribuzioni orarie dai 15 ai 22 dollari , procedono a incendi, vetrine spaccate, scontri, sotto la maschera di una sorta di “rivoluzionarismo anti-sistema” – e gruppi simili vi sono anche in Germania, e in Francia, né mancano da noi. Anche questo è vero: però non sono costoro a formare il grosso dei sostenitori ed elettori della Clinton.

Infatti, non è questo il punto: secondo le categorie correnti, i sostenitori ed elettori della Clinton – e cosí i sostenitori del Remain in Gran Bretagna, quelli che si oppongono a Hofer e al suo partito in Austria, all’Alternatve für Deutschland in Germania, al Front national in Francia, etc. – si situano, grosso modo, nel ventaglio di ciò che si denomina «sinistra», che si oppone alla destra, che contrasta il populismo (pezzo forte della polemica, con accezione negativa in sé e con ghiribizzi per dimostrarlo da parte di “esperti”, presunti dotti, accademici mentre è solo ovvio che si è populisti rivolgendosi al complesso dei lavoratori e classi subalterne). I sostenitori ed elettori di Trump – e cosí i sostenitori della Brexit in Gran Bretagna, di Hofer e del suo partito in Austria, dell’AfD in Germania, del Front national in Francia, etc. – si situano, grosso modo, nel ventaglio di ciò che si denomina «destra»: sono destrorsi, sono populisti (o ingannati dal populismo). Ma, mantenendo la testa ossificata nelle categorie correnti di sinistra-destra, con condimento di quella di populismo – per cui chi “è di sinistra” è contro ciò che viene “da destra” e il populismo, o lo giudica male o è diffidente; e fa viceversa chi “è di destra” –, non si riesce a capire la realtà, il suo muoversi.

Come si spiega che l’assetto politico ed economico Usa, la presidenza uscente, i grandi media, insieme all’assetto e agli esponenti dell’Ue, alla massima parte dei governanti degli Stati europei, con i media europei, e cosí via, già sostenitori dei pro Remain in Gran Bretagna, si trovino «uniti nella lotta» con i manifestanti anti-Trump delle città statunitensi? È questo il «fronte unico progressista», “illuminato”, anti-populista, anti-reazionario, per non dire anti-fascista? È questo il fronte della civiltà? Lo si narra, e lo si fa credere ai babbei manipolati: è questo il fronte del capitale dispiegato al mondo nella cosiddetta «globalizzazione», che ha devastato il mondo con la guerra economica intrecciata al seguito di guerre guerreggiate, e che comprende quel disastro per gran parte dei popoli e paesi europei che è l’Unione (da chiamare anti-)europea.

In questo processo, sinistra e destra si sono scambiate (dialetticamente) di posto, portandosi ognuna dietro la componente minoritaria piú estrema: il processo, a livello esterno e interno, è stato aperto dalla destra (basti ricordare la Tatcher in Gran Bretagna e Reagan negli Usa, con ricadute a cascata altrove), e i disastri interni che ha provocato sono stati assunti e utilizzati dalla sinistra per battere le gestioni statuali (governi) della destra, ma per dimostrare di essere in grado di portare avanti con piú forza il processo stesso. Sinistra e destra che hanno le stesse radici nell’Illuminismo e dunque nel derivato liberalismo (va trattato di questo “nodo” e dei limiti presenti nelle stesse elaborazioni di quell’insieme detto «marxismo», il che però esorbita dallo spazio qui presente) sono ambedue forze e varianti del liberalismo (tanto che spesso la destra è stata una precedente sinistra). E il liberalismo è precisamente l’ideologia (da intendere come forza agente, operativa) piú “consustanziale” al capitalismo e alla statualità capitalistica, e il liberalismo si è dispiegato in tutti i campi (politica, economia, tecnologia, cultura, media, società) mentre le componenti estreme, a sinistra, arrivano a riproporre al massimo il socialismo o il comunismo come evocazioni, a cui non corrisponde alcun contenuto né prospettiva; a destra, arrivano a riproporre al massimo forme di nazismo o fascismo, e nemmeno a queste evocazioni corrisponde alcun contenuto né prospettiva.

Da notare: la sinistra americana si chiama liberal e liberal si chiamano i suoi esponenti, militanti, elettori. E questa denominazione di liberal può ben essere estesa al di là delle diverse sigle e convinzioni, e del loro carattere piú “moderato” o piú “radicale” alle forze di sinistra europee.

Ma la «globalizzazione», ossia il dispiegamento del liberalismo (=capitalismo), è giunta a cozzare con le contraddizioni che ha generato e genera, a livello globale e all’interno di ogni paese. E le spinte verso una soluzione ora non vengono dalle forze ascritte alla sinistra, che proseguono nell’attuazione degli imperativi della «globalizzazione», e delle potenze che l’hanno gestita, proclamando l’assurdità di contemperarli con la tutela dei lavoratori e classi subalterne: “governare la globalizzazione” è la loro parola d’ordine (il cui fallimento piú éclatant lo si è visto in Grecia, con il disastro condotto da Tsipras e Syriza, tradendo ogni volontà del popolo greco, mentre Varoufakis continua a vaniloquiare su un “movimento europeo” volto a “riformare l’Ue”).

Che lievitasse la spinta a fuoriuscire dal quadro rovinoso era inevitabile, e questa è emersa con forza sempre maggiore: la si può rilevare in Europa (cosí in Francia, in Germania, in Austria, in altri paesi europei, Italia compresa, cosí con la stessa Brexit) ed è “esplosa” nella centrale mondiale della «globalizzazione», gli Usa – e ciò vuol dire che era ormai inarrestabile –, con Trump e con il movimento che ha messo in piedi, e avrà ricadute a cascata, anche se le forze ora alla gestione di Ue e Stati europei lo negano, il che attesta il contrario. E tale spinta è assunta e condotta adesso – lo si voglia o no – dalle forze ascritte alla destra: cosa che va riconosciuta, non foss’altro per onestà intellettuale (respingendo le reattività psicotiche che scattano “a sinistra”).

Trump riuscirà a fare qualcosa di quanto ha prospettato? Ripeto che si vedrà, ma certo comunque in modo parziale, e aprendo altre contraddizioni ancora, su cui si fionderà la sinistra – le due varianti del liberalismo svolgono il loro ruolo “di sistema” – per rivalersi in futuro e sostituire la destra nella gestione (governo). Ma, se Trump in qualcosa procede, segna una svolta epocale: pone le basi del superamento di quel dispiegamento del liberalismo (=capitalismo) detto «globalizzazione», riponendo la questione dell’assunzione di responsabilità dirette, di cui rendere conto, da parte degli Stati nazionali e dei loro governi, con i necessari accordi esteri (internazionali), ma ognuno con il suo ruolo, in un mondo piú multipolare. Ciò è fattivo: rompe un “quadro” altrimenti chiuso, anche per l’Italia – e che venga da destra e non da sinistra è secondario.

No, non è Trump, con il suo movimento e i suoi elettori, la reazione da rilevare come le linee del suo programma siano di genere para-keynesiano (intervento economico statuale e protezionismo e non è “a sinistra” che si presenta, falsamente, il keynesismo come para-socialismo o para-comunismo?). Ma c’è il fattore negativo che è emerso con forza: la manipolazione delle teste che il «politicamente corretto» è riuscito ad attuare, in generale e in primo luogo negli Usa, inducendo perfino psicopatie, e ottundendo, e occludendo, le capacità di pensare e capire – e le operazioni anti-Trump sembrano volte restare una faglia di fondo, anche perché sostenute e finanziate: una forma di pressione permanente, quindi di condizionamento, sul delinearsi di un nuovo corso.

1789: in Francia insorse a lungo la regione della Vandea contro l’abbattimento dell’Ancien régime (frammistandovi un’altra serie di motivazioni, alcune anche valide). Sarebbe erroneo forzare troppo il parallelo storico, ma si può affermare a pieno titolo che l’attuale Ancien régime è l’America della «globalizzazione», di Obama e della Clinton, è l’Unione (anti-)europea, è l’urto con la Russia, la tensione nell’Europa dell’Est, il disastro nel Vicino e Medio oriente e Nordafrica e Africa, la macelleria sociale della «globalizzazione» stessa, il mostruoso flusso migratorio, nonché il generalizzato «insegnamento dell’ignoranza» e il martellamento del «politicamente corretto». La reazione sta, perciò, precisamente nel sollevamento anti-Trump: è la Vandea liberal.

Certo, occorre tutt’altro: mentre la presente sinistra finisce nei fatti per situarsi sul fronte della reazione, a destra comunque non si supera il capitalismo. Né per andare oltre basta attestarsi sul “né di destra né di sinistra” – il che significa solo essere un po’ di destra (meno) e un po’ di sinistra (di piú), né mette in discussione il “sistema” nel suo complesso. Occorre comprendere e diffondere la vera via di soluzione: la democrazia (effettiva, non quella falsa, elettivo-rappresentativa, che sancisce il sistema oligarchico liberale), cioè puntare a mettere direttamente in mano ai lavoratori e classi subalterne la decisione e gestione degli “affari comuni”, il che apre a un socialismo da ripensare e ricostruire in termini di effettiva realizzazione. Ed è perciò che, per l’intanto, vanno accolte e assunte la rottura e l’apertura complessive che l’elezione di Trump rappresenta – anche per noi.

MM

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